Ucciso a Napoli per lo sgarbo al figlio del boss, il racconto del teste chiave: «Volevo salvarlo, ma lui non mi stette a sentire»

Procura Napoli

«Quell’omicidio era una cosa nostra». Nel 2014 il ras pentito Salvatore Torino ‘o gassusaro, un tempo a capo dell’omonimo gruppo criminale radicato a Miano e poi spostatosi alla Sanità, parlava così agli inquirenti dell’omicidio di Michele Coscia, un ragazzo che non era legato alla criminalità organizzata ma che aveva avuto un fratello inserito nel ‘sistema’. Michele Coscia venne ammazzato la sera del 9 luglio del 2006 in un affollato corso Chiaiano, mentre in strada si festeggiava la vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio.

«Venni a sapere di quell’omicidio mentre ero detenuto in carcere. Chiesi spiegazioni a Giovanna Beninato e mi disse che era stato mio figlio Nicola», aggiungeva. Poche informazioni, che unitamente a quelle fornite sul delitto da altri pentiti spinsero la procura, già nel 2020, a chiedere l’arresto per due figli di Salvatore Torino. Ma il giudice per le indagini preliminari che valutò la richiesta di ordinanza di custodia cautelare rispose picche, evidenziando che nessuno dei pentiti ascoltati dalla Dda fosse stato testimone al fatto: tutti parlavano dell’omicidio per avere appreso notizie da altri e in alcuni punti i racconti non combaciavano.

Il gip chiedeva la prova ‘regina’ e quella prova è arrivata nel 2021, quando è passato a collaborare con la giustizia un piccolo pregiudicato, Emanuele Pancia. Il pentito Pancia era sul corso Chiaiano la sera del delitto e conosceva Michele Coscia. Assistette alla lite che provocò l’omicidio e, a suo dire, cercò pure di salvare la vita a Coscia.

Così, sulla scorta del nuovo racconto, questa mattina i carabinieri della compagnia Vomero hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere ai fratelli Luigi e Nicola Torino, figli del ras pentito Salvatore, contestando loro l’accusa di omicidio aggravata dalla matrice camorristica.
Tutto accadde per un banale incidente. Coscia stava sventolando la bandiera in segno di festeggiamento, quando accidentalmente urtò un ragazzino, all’epoca minorenne, che era seduto su uno scooter. Coscia chiese scusa ma il ragazzino lo insultò.

Coscia, racconta dunque Pancia ai magistrati, «reagì colpendo violentemente con la mano il paravento del motorino del ragazzo, tanto da spezzarlo, nel rompersi, una parte del paravento andò in faccia al ragazzo». Non sapeva, Coscia, che quel ragazzo era il figlio del ras Salvatore Torino, che era fedelissimo dei Lo Russo e che si era allungato anche nel rione Sanità entrando in contrapposizione con gli storici Misso.

Il ragazzino, che si chiamava Roberto, non reagì e andò via. Ma Pancia si preoccupò: «Non mi piaceva la faccia che fece». Così, pur conoscendolo, Pancia gli andò dietro e «gli dissi che volevo risarcirlo per la rottura del paravento, gli offri cento euro, glieli mostrai». Ma Roberto Torino «rifiutò dicendo anche andava bene così e andò via». Pancia tornò indietro e disse a Coscia di andare a casa: «Sentivo che non sarebbe finita lì, ma Michele non mi ascoltò».

Coscia rimase a festeggiare ma poco dopo arrivò un commando di tre motorini, ciascuno con due persone in sella. Su di uno viaggiava Roberto Torino, che indicò al fratello Luigi Michele Coscia. Luigi Torino scese dal veicolo e aprì il fuoco contro Coscia. Pancia scappò via. Coscia fu raggiunto da sette colpi di pistola, due due quali lo raggiunsero al tronco perforandogli cuore e polmoni: morì sul colpo. Rimasero ferite, a una gamba, anche altre due persone, colpite per errore.
Ai due indagati è stata contestata anche l’aggravante della matrice camorristica. Con quel raid, è la conclusione della procura condivisa dal gip, i Torino volevano dare prova della loro forza, lanciando un segnale a chiunque abitasse nel quartiere dove operavano. Nessuno, era il messaggio, doveva mettersi contro di loro, anche se si trattava di persone non inserite in contesti criminali.

martedì, 14 Marzo 2023 - 18:05
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