Caivano, appalti pilotati: l’ex assessore collabora con la Dda e svela il patto tra politica e clan Angelino

comune caivano
Il Comune di Caivano
di maga

L’inchiesta della procura di Napoli su un accordo tra pezzi di politica locale e malavita organizzata per l’assegnazione degli appalti pubblici a Caivano fa un salto di qualità. A distanza di 6 mesi dagli arresti che hanno poi determinato lo scioglimento del Comune per infiltrazioni camorristiche, l’ex assessore Carmine Peluso (che ha fatto parte della giunta di centrosinistra guidata da Enzo Falco e caduta nell’agosto dello scorso anno dopo le dimissioni di 13 consiglieri su 24), travolto dall’indagine, ha deciso di collaborare con gli inquirenti.

Il 25 gennaio – come ha riportato Repubblica – ha firmato il primo suo primo verbale dichiarativo, restituendo un quadro di connivenze che conferma e fortifica lo scenario tratteggiato dagli inquirenti. «La mia intenzione è fornire maggiori informazioni sulle attività illecite e sui rapporti tra il clan e la politica», ha spiegato l’ex assessore ai Lavori pubblici. La procura gli contestava l’avere assunto un ruolo di intermediario tra le imprese e il clan guidato dal boss Antonio Angenlino detto “Tibiuccio” (assurto ai vertici del sodalizio dopo la carcerazione degli esponenti di vertice degli storici clan Ciccarelli e Sautto) nelle richieste estorsive. Un ruolo odioso che Peluso ha confermato, mettendo così un’ipoteca sulle pesanti intercettazioni al centro dell’inchiesta: «Ero stato individuato come il perno principale, nel senso che avrei dovuto essere il principale portatore presso le ditte delle richieste del clan», ha detto agli inquirenti. Inoltre l’ex assessore ha aggiunto di avere conosciuto di persona il boss Angelino. Accadde dopo la nomina ad assessore: «Armando Falco e Giovambattista Alibrico mi dissero che mi voleva incontrare».

La discovery dei verbali è avvenuta con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari a carico di 25 persone: significa che la procura ha intenzione di chiedere il rinvio a giudizio dei destinatari dell’avviso, atto che sarà formalizzato (salvo ripensamenti) non appena decorreranno i venti giorni che la legge concede agli indagati per presentare memorie difensive o chiedere un interrogatorio. Tra quanti rischiano di dover comparire in un’aula di Tribunale ci sono Carmine Peluso, i due ex consiglieri comunali di maggioranza Giovambattista Alibrico e Gaetano Ponticelli, Armando Falco (imparentato con l’ex sindaco Enzo Falco che non è indagato), il tecnico Martino Pezzella e l’ex dirigente comunale Vincenzo Zampella. Sia Peluso che Alibrico furono elettori con la lista “Orgoglio campano”, movimento che per preferenze fu il terzo gruppo più votato tra quelli della coalizione a sostegno del sindaco Falco. Al centro dell’inchiesta c’è poi anche un secondo capitolo: la tangente imposta agli imprenditori che ottenevano l’incarico da parte di esponenti politici che muovevano i fili delle aggiudicazioni degli appalti. Una quota diversa da quella che poi gli imprenditori si ritrovavano a corrispondere al clan di Antonio Angelino.

Peluso ha anche spiegato agli inquirenti come funzionava il sistema delle assegnazioni degli appalti: «In base ai lavori, noi decidevamo quale ditta doveva lavorare». Poi «la gara veniva bandita dopo che i lavori erano già stati effettuati ed era frutto di un accordo a monte tra me, Zampella e la ditta». Il guadagno di Peluso era duplice: «Io facevo lavorare le ditte che volevo io e ciò mi giovava anche in termini di consenso elettorale. Poi mi veniva corrisposto denaro, da un minimo di 500 euro sino a 3mila euro da parte delle ditte». L’ex assessore è poi entrato nel dettaglio di come si è ritrovato ad accettare l’accordo con il clan Angelino. Ha ricordato che in un primo momento rifiutò qualsiasi tipo di accordo. Nel primo incontro procuratogli da Alibrico e Falco, fu spiegato a Peluso che il clan avrebbe indicato a lui «chi doveva aggiudicarsi i lavori» e che «tutte le ditte non di Caivano che vincevano le gare dovevamo pagare le estorsioni», mentre le ditte del posto «già sapevano». Peluso in quella occasione rifiutò e andò via. Ma Pezzella lo incalzò e gli disse che c’era il «rischio ritorsioni». Alla fine Peluso si è ritrovato risucchiato in questo sistema e ne ha fatto parte. «Dopo avere ricevuto il finzmaneo e dopo la gare, mi sarei occupato io di provvedere a ricevere dalla ditta la somma di denaro a titolo estorsivo da versare al clan».

venerdì, 26 Aprile 2024 - 12:17
© RIPRODUZIONE RISERVATA