Tre processi per il furto di una melanzana Cassazione assolve l’imputato e accusa:
il fatto era tenue, andava chiuso subito

Tribunale Giustizia

Nove anni tra inchieste e processi. Nove anni di battaglia legale, con milioni di euro spesi dallo Stato per sostenere i relativi procedimenti, per chiudere il caso di un tentato furto di una melanzana. E’ l’assurda storia sulla quale pochi giorni fa la Corte di Cassazione ha scritto finalmente la parola fine. Ne ha dato notizia il Nuovo Quotidiano di Lecce. La storia fa sorridere, di un sorriso amaro considerate le ore di lavoro impiegate da dipendenti dello Stato, giudici e pm in questo caso, impiegate per venire a capo di una vicenda irrisoria. Tutto comincia nel 2009 quando un uomo di 49 anni viene sorpreso dai carabinieri a Carmiano in un campo di melanzane. L’uomo è vicino alla sua macchina, con il cofano aperto. I militari sospettano che il 49enne voglia prelevare dal campo, non di sua proprietà, un carico di ortaggi. Controllano nell’auto e trovano nel portabagagli una scatola di cartone con dentro una sola melanzana. E per quella sola melanzana viene aperto un procedimento penale, a cui fanno seguito i processi. Processi nel corso dei quali il 49enne viene rappresentato col gratuito patrocinio perché risulta privo di mezzi per potersi pagare da solo l’avvocato. Ed è proprio sullo stato di indigenza che la difesa gioca per provare a sostenere la tesi del furto di necessità. In primo grado l’uomo viene assolto, ma in Appello i giudici si discostano da questa conclusione alla luce di un analogo precedente dell’uomo risalente nel 2000 e condannano l’imputato a cinque mesi. A questo punto entra in gioco la Corte di Cassazione, che non solo recupera la tesi dello stato di necessità dell’imputato («aveva certamente agito per soddisfare un bisogno alimentare della propria famiglia», scrivono), ma bacchettano anche i giudici della Corte d’Appello sostenendo in pratica che si è perso tempo a celebrare un processo inutile: il reato è comunque non punibile data la tenuità del fatto. E neppure la condanna riportata nel 2000 sarebbe stata un ostacolo alla dichiarazione di non punibilità. La legge, ricordano i giudici della Cassazione, esclude l’applicabilità della «particolare tenuità del fatto» per chi è considerato «delinquente abituale». Non per la recidiva, come nel caso concreto.

sabato, 31 Marzo 2018 - 13:11
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