Plastica in acqua, allarme inquinamento Sembra il Pacifico ma è il mare di Portici Dossier dell’Istituto di Scienze Marine

di Dario Striano

«I picchi più alti di inquinamento da microplastiche si registrano in Italia. E in modo particolare a Portici». A rivelarlo è una ricerca effettuata dall’Istituto di Scienze Marine del Centro nazionale ricerche di Genova, in sinergia con l’Università Politecnica delle Marche e con Greenpeace Italia. Ricerca che è il frutto dei dati raccolti da 19 stazioni di campionamento posizionate in mare aperto da Genova ad Ancona durante il tour ‘Meno Plastica più Mediterraneo” della ‘Rainbow Warrior’ La nave che la scorsa estate ha visitato le coste del Mediterraneo. «I risultati indicano che l’inquinamento da plastica non conosce confini e che i frammenti si accumulano anche in aree protette o in zone lontane da sorgenti di inquinamento – ha dichiarato Francesca Garaventa del Cnr – nella stazione di Portici, zona a forte impatto antropico, si trovano valori di microplastiche pari a 3,56 frammenti per metro cubo». Numeri devastanti. Per avere un’idea di cosa significhino tali valori il Cnr ha fornito anche un esempio pratico. «Immaginiamo di riempire una piscina olimpionica con l’acqua di Portici – ha rivelato Garaventa – ci troveremmo a nuotare in mezzo a 8.900 pezzi di plastica».
Le analisi condotte hanno permesso quindi anche di identificare 14 tipi di polimeri inquinanti. La maggior parte delle plastiche ritrovate è infatti composta da polietilene, ovvero il polimero con cui viene prodotta la maggior parte del packaging e gli imballaggi usa e getta. Un tipo di inquinamento che non risparmierebbe neppure le aree marine protette, come quella delle isole Tremiti, in cui sono stati riscontrati valori non molto inferiori rispetto a quelli delle acque antistanti il litorale porticese. «Sempre prendendo come campione una piscina olimpionica, – ha aggiunto Francesca Garaventa del Cnr – nel caso la si riempisse di acqua delle isole pugliesi ci troveremmo a nuotare in mezzo a 5.500 pezzi di plastica». Ragione per cui «nelle acque superficiali italiane» si riscontrerebbe dunque «un’enorme e diffusa presenza di microplastiche comparabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico». Una situazione denunciata anche dagli attivisti di Greenpeace. «I nostri mari stanno letteralmente soffocando sotto una montagna di plastica, per lo più derivante dall’uso e dalla dispersione di articoli monouso – ha commentato Serena Maso  – Per invertire il trend bisogna intervenire alla fonte, ovvero la produzione».
Lo studio condotto dal Cnr di Genova rappresenta dunque una nuova tegola per la città di Portici, il cui litorale è tornato interamente balneabile nel 2012, dopo più di 30 anni di divieti di balneazione. Così come è tornata balneabile quasi l’intera costa vesuviana. Dal 2011 al 2017 i chilometri di costa balneabile in Campania sono, infatti, notevolmente aumentanti, passando dai 309 iniziali ai 407 dello scorso anno. E in particolare nella provincia a sud di Napoli, su 15 punti di balneazione, soltanto 4 saranno interdetti alla balneazione, almeno fino al prossimo controllo. Questi sono il lungomare di San Giovanni a Teduccio, l’adiacente sito museale di Pietrarsa, e le due spiagge ercolanesi “Ex Bagno Risorgimento” e il lido “la Favorita”.  A stabilirlo è stata come ogni anno l’Agenzia regionale protezione ambiente della Campania, a cui è affidato il monitoraggio delle acque costiere campane a tutela della salute dei bagnanti – svolto secondo quanto prescrive il decreto legislativo 116/08 e le successive norme attuative. «Le autorità comunali sono tenute a vietare ai bagnanti le aree classificate di qualità “scarsa“,  e quelle indicate in “articolo 7” della vecchia normativa (dpr 470/82)», queste ultime indipendentemente dalla classe di qualità. L’elenco dei tratti vietati può tuttavia variare nel corso della stagione balneare, e le autorità comunali sono tenute a segnalare le variazioni. Il giudizio di idoneità espresso nella delibera di Giunta regionale deriva dall’analisi statistica dei risultati delle quattro stagioni di monitoraggio precedenti, in particolare sugli esiti analitici di due parametri batteriologici: escherichiacoli, ed enterococchi intestinali, considerati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, come più specifici rispetto a quelli della vecchia normativa, il Dpr 470/82.  Quest’ultima prevedeva l’analisi di ben 12 parametri: coliformi totali, coliformi fecali, streptococchi fecali, salmonella, enterovirus, ph, fenoli, tensioattivi, oli minerali, ossigeno disciolto, colorazione e trasparenza. L’adesione alla nuova legge ha destato numerose perplessità da parte di numerose associazioni, comitati e attivisti impegnati nella campagna di riqualificazione del mare italiano.

martedì, 24 Aprile 2018 - 13:22
© RIPRODUZIONE RISERVATA