Gli eroi dell’inferno di fuoco a Bologna: erano ustionati, ma hanno aiutato gli altri Ecco i servitori dello Stato e dei cittadini

di Manuela Galletta

Gli eroi dell’inferno di Bologna sono servitori dello Stato. Sono carabinieri e poliziotti. Sono ragazzi. Che non hanno esitato a prestare soccorso a chi era stato travolto dall’esplosione benché essi stessi fossero stati colpiti dalle fiamme. Benché la loro pelle fosse stata mangiata da quelle violentissime lingue di fuoco che intorno alle due del pomeriggio di lunedì 6 agosto hanno avvinghiato in un abbraccio mortale il Raccordo di Casalecchio, tra Bologna Casalecchio ed il bivio con la A14 Bologna-Taranto, all’altezza di Borgo Panigale. Riccardo Muci ed Elio Norino sono i volti che da ieri le emittenti televisive e i giornali online rilanciano con orgoglio. Muci è ancora in ospedale, perché ha riportato le ustioni più gravi: bruciature di secondo grado, profonde ma non estese, su buona parte del corpo. Braccia, addome ma soprattutto sulla schiena. Ha 31 anni, è di origini pugliesi e serve lo Stato come agente di polizia. Lunedì pomeriggio non ha esitato a salvare quanta più gente poteva. Benché le fiamme avessero avvolto pure lui.

«Il mio collega mi ha gettato acqua sulla schiena», ricorda seduto nel letto d’ospedale mentre il premier Giuseppe Conte gli stringe la mano e lo ringrazia a nome dell’Italia intera per il suo coraggio, per il suo senso del dovere. Riccardo Muci e il suo collega sono riusciti ad allontanare i curiosi che si sono ammassati a ridosso del ponte quando la colonna di fumo nero e denso è salito verso il cielo dopo che l’autocisterna si è schiantata come un missile contro il tir che lo precedeva. E poi hanno continuato ad aiutare le persone ferite quando la seconda esplosione ha fatto tremare mezza Bologna, arrivando a colpire – con l’impressionante calore sprigionato – finanche persone che si trovava al sicuro nelle loro abitazioni. «Ero con il mio collega, come capo equipaggio della volante, ed eravamo impegnati in un regolare servizio di controllo del territorio a Borgo Panigale – racconta il 31enne originario di Copertino in provincia di Lecce e in servizio al commissariato Santa Viola di Bologna – Poi abbiamo visto da lontano tutto quel fumo sulla tangenziale e ci siamo avvicinati. Abbiamo chiamato la centrale operativa, che era già stata informata della situazione, e abbiamo fornito tutti i particolari che riuscivamo a vedere dalla nostra posizione, per dare quanti più elementi possibile alle squadre di soccorso». Ed è quello il momento in cui l’intuizione di Riccardo salva probabilmente decine di vite. «Appena sceso dall’auto – si limita a dire lui – ho subito capito quello che stava per succedere, c’era un odore inconfondibile nell’aria. Non potevo lasciare che le auto continuassero a circolare e cosi’ ho fatto mettere la volante di traverso, per bloccare l’accesso alla strada in entrambe le direzioni». Ma non solo. «A piedi mi sono spostato verso il ponte, c’erano persone che scattavano foto e facevano video e ho cominciato ad urlare dicendo di allontanarsi. Ero a 20 metri dal ponte quando c’e’ stata quell’enorme esplosione». Riccardo Muci ricorda solo una gigantesca onda d’urto che lo ha fatto volare di alcuni metri e un calore folle che gli ha sciolto la maglietta ignifuga. «Con l’adrenalina in corpo – racconta ricostruendo gli istanti successivi – sono riuscito ad alzarmi e con la schiena bruciata ho continuato a far allontanare la gente. Il mio collega mi ha gettato dell’acqua sulla schiena e insieme a lui e ai carabinieri di Borgo Panigale siamo riusciti a portare i feriti nella caserma dell’Arma». E poi? «Quando è finita l’adrenalina il dolore si e’ fatto sentire e sono crollato». Si è risvegliato in ospedale, dove il premier Giuseppe Conte gli ha stretto la mano. «Avevo capito che la situazione era molto grave – ripete – e il mio primo pensiero è stato quello di mettere in sicurezza le persone. Ho fatto il mio lavoro».
Sotto a quel maledetto ponte c’erano anche i carabinieri, quelli della caserma che dista circa 200 metri dal luogo dell’impatto. Sono loro, i militari dell’Arma, ad essere giunti quasi per primi. Prima ancora della seconda violenta esplosione che sembrava Hiroshima. Il capitano Elio Norino ha la testa fasciata da una benda, il maresciallo Arturo Guidoni ha l’orecchio sinistro e parte del collo ‘coperto’ con la garza. Qualche loro collega, invece, è ancora ricoverato, perché ha riportato ustioni di terzo grado. «Eravamo in caserma quando abbiamo sentito il boato e siamo subito andati sul posto – dice Norino – Abbiamo provveduto a cinturare la zona sotto il ponte e ad allontanare le persone. Quando c’è stata la seconda esplosione siamo rimasti feriti a nostra volta». Nonostante le ferite, i carabinieri non si sono fermati. Hanno aiutato le persone colpite, hanno allestito una sorta di pronto soccorso in caserma offrendo ospitalità ai feriti, portando loro dell’acqua. «Abbiamo cercato di dare una mano a tutti», dice Norino. Anche a loro il premier Conte ha rivolto un sentito ringraziamento.
Sono le storie belle, le storie di un’umanità ancora viva che arrivano da un orrore difficile da dimenticare. Nell’esplosione provocata dall’incidente è rimasta uccisa una persona mentre i feriti sono 145. La vittima è il conducente dell’autocisterna che, per ragioni che forse sarà impossibile accertare, si è schiantata contro un camion che era praticamente incolonnato nel traffico. L’uomo si chiamava Andrea Anzolin, aveva 42 anni e abitava a Vincenza.

mercoledì, 8 Agosto 2018 - 15:12
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