Violenza sessuale, l’ex Ceo di Facile.it resta in cella. Il gip: «La vittima trattata come una bambola di pezza»

Abusi

Nessuna misura alternativa al carcere perché ha manifestato una «tale propensione a delinquere» che anche il ritorno a casa ai domiciliari potrebbe «trovare ulteriore sfogo in altri fatti illeciti dello stesso tipo o di maggiore gravità di quelli contestati».

E’ uno dei passaggi dell’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari Tommaso Perna del Tribunale di Milano ha confermato il carcere per l’imprenditore Alberto Maria Genovese, fondatore di Facile.it (azienda che ha ceduto e in cui non ha più alcun ruolo dal 2014) e fino a domenica presidente di Prima Assicurazioni, accusato di violenza sessuale, lesioni, sequestro di persona e spaccio, dopo un’indagine della Mobile di Milano, coordinata dalla pm Rosaria Stagnaro e Maria Letizia Mannella. Genovese, nello specifico, è accusato di aver segregato e violentato per più ore una ragazzina durante un festino a base di alcol e droga organizzato lo scorso 10 ottobre nel suo appartamento in centro città.

Nel ravvisare l’esigenza della custodia in carcere, il gip ha osservato che «la personalità dell’indagato» è «altamente pericolosa, giacché del tutto incapace di controllare i propri impulsi violenti e la propria aggressività sessuale». In relazione al pericolo di fuga il giudice ha evidenziato che il 43enne fondatore di Facile.it e Prima Assicurazioni vista «l’altissima gravità dei reati in contestazione, è presumibile che, ove egli venisse lasciato libero, si allontanerebbe senz’altro dall’Italia».

Entrando, invece, nel merito delle contestazioni il giudice ha rilevato che «Genovese ha agito prescindendo dal consenso della vittima, palesemente non cosciente per circa la metà delle 24 ore trascorse con lui, tanto da sembrare in alcuni frangenti un corpo privo di vita, spostato rimosso, posizionato, adagiato, rivoltato, abusato, come se fosse quello di una bambola di pezza». Né Genovese si è fermato quando la ragazzina ha provato a opporre resistenza: quando la vittima «ha ripreso un barlume di lucidità, iniziando ad opporsi e a manifestare esplicitamente il suo dissenso, fino ad implorare il suo aguzzino di fermarsi, non è stata ascoltata dal carnefice che, imperterrito, ha proseguito nella sua azione violenta, continuando a drogarla e a violentarla», rileva il gip. Che poi cita poi una sentenza della Corte di Cassazione in cui si spiega che per contestare l’aggravante della ‘narcotizzazione della vittima, è necessario che l’assunzione, da parte della vittima, di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti sia stata provocata o agevolata dall’autore’, come in questo caso.

Infine, il gip si sofferma anche su un altro aspetto: la lucidità di Genovese. Come ribadito anche dall’indagato, l’uomo era sotto effetto di sostanze stupefacenti ma per il giudice questa condizione non gli ha tolto la capacità di intendere e di volere. «Nonostante Genovese abbia fatto uso di sostanza stupefacente, è rimasto sempre lucidissimo, disponendo del corpo della vittima come meglio credeva, somministrandole nuova sostanza stupefacente tutte le volte che comprendeva che si stava destando – osserva il gip – Appare pertanto inverosimile sostenere che egli non avesse percezione della realtà o che, nella sua immaginazione, avesse trascorso una serata bellissima con la sua amata». 

lunedì, 9 Novembre 2020 - 18:38
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