Morti per amianto all’Eternit di Bagnoli, chiesti 23 anni per l’ex proprietario e magnate svizzero Schmidheiny

Eternit Vercelli

Il magnate svizzero Stephan Ernest Schmidheiny era consapevole dei rischi alla salute provocati dall’esposizione all’amianto e ciononostante nulla fece per tutelare la salute di chi lavorava nel suo stabilimento Eternit a Bagnoli.

Anzi, si cercò di insabbiare le notizie che provenivano da ambienti scientifici circa gli effetti nocivi. Nello stabilimento, secondo quanto emerso dagli atti ereditati dal primo procedimento giudiziario, a un certo punto l’amianto venne chiamato fibrocemento, secondo i pm in maniera tale da renderlo meno identificabile. Ai dirigenti di stabilimento venne addirittura consegnato un vademecum per insegnare loro quali risposte fornire a eventuali domande dei sindacati e della stampa circa le modalità di trattamento dell’amianto.

E’ sulla scorta di questa convinzione che, nella giornata di ieri, i pubblici ministeri Anna Frasca e Giuliana Giuliano hanno chiesto la condanna a 23 anni e 11 mesi di reclusione per Schmidheiny all’esito del processo che lo vede unico imputato per omicidio volontario plurimo, con dolo eventuale, in relazione alla morte di sei persone, 4 operai e due donne imparentate con operai, provocata da tumori dovuti all’inalazione delle polveri killer.
La richiesta di pena ha chiuso una lunga requisitoria nel corso della quale i pubblici ministeri hanno ripercorso anche le testimonianze di chi nello stabilimento, ormai dismesso, ha lavorato e dalle quali è emersa la totale assenza di misure di sicurezza per la salute dei operai.

Le mascherine in dotazione, ad esempio, non proteggevano dall’inalazione delle polveri di amianto, tanto è vero che diversi operai, respirando male, le toglievano. Gli operai erano costretti a portare a casa le tute da lavoro per farle lavoro, e due donne si sono ammalate proprio così, respirando l’amianto che si era depositato su quelle tute di lavoro che si occupavano di lavare. Tra le deposizioni citate quella di un operaio che definì il reparto dove lavorava e dove l’amianto veniva trattato come «il reparto della punizione». I magistrati inquirenti hanno puntato l’indice contro la condotta sprezzante nei confronti del “sistema giustizia” manifestata dall’imputato ed evidenziata nelle interviste ai media.

«Ciò che è emerso dalla lettura degli atti delinea chiaramente il quadro di una condotta di scellerato perseguimento del profitto», ha commentato l’avvocato Elena Bruno, legale dell’associazione ‘Mai Piu’ Amianto’ che si è costituita parte civile nel procedimento. Parte civile anche i parenti delle vittime, i sindacati e l’Osservatorio Nazionale Amianto (rappresentato dall’avvocato Flora Rosa Abate). «Ciò di cui discutiamo oggi è di grande attualità – ha sottolineato l’avvocato Bruno – perché riguarda la scelta fra salute e lavoro, scelta che auspico non debba più essere fatta da nessuno. Intanto mi auguro che sia fatta giustizia».

giovedì, 3 Marzo 2022 - 10:49
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