Referendum giustizia, quali sono i 5 quesiti: cosa dicono e cosa significa votare ‘sì’ o ‘no’ | Guida al voto

Il 12 giugno 2022 si vota per il referendum sulla giustizia
di Gianmaria Roberti

Cinque quesiti, un solo tema: la giustizia. Domenica 12 giugno si vota (dalle 7 alle 23) per il referendum. I cittadini sono chiamati a esprimersi su questioni talvolta non semplici. Ecco, nel dettaglio, di cosa si tratta.

1) Scheda rossa. «Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n.190)?».

La norma in questione è la legge Severino, e porta il nome dell’ex guardasigilli Paola Severino. Fu varata 10 anni fa, con il governo Monti in carica, sull’onda dell’indignazione per gli scandali nella pubblica amministrazione. Prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per gli esponenti del governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna. Ha valore retroattivo e prevede la sospensione di una carica comunale, regionale e parlamentare se la condanna interviene dopo la nomina dell’interessato. Per chi ricopre una carica in un ente territoriale, basta anche una condanna in primo grado, quindi non definitiva, per essere sospesi, fino ad un periodo massimo di 18 mesi.

Votando Sì viene abrogato il decreto e si cancella così l’automatismo: in caso di condanna, si restituisce ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici.

Votando No la legge resta in vigore.

2) Scheda arancione. «Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché’ per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni».

Il quesito tratta di misure cautelari. Ovvero i provvedimenti emessi nel periodo intercorrente tra l’inizio del procedimento penale e l’emananzione della sentenza. Vengono adottati dall’autorità giudiziaria per scongiurare alcuni pericoli, come le difficoltà nell’accertamento del reato o nella esecuzione della sentenza; la possibilità che vengano compiuti altri reati o che si aggravino le conseguenze di un reato. Le misure cautelari sono di tre tipi: coercitive, interdittive, reali. Tra le prime rientrano la custodia cautelare in carcere, gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in luogo di cura. Ma anche il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, il divieto e l’obbligo di dimora. Tra le seconde, si annoverano la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori, la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione, il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali. Le terze incidono sui beni patrimoniali, e sono il sequestro preventivo e il sequestro conservativo. Il quesito referendario riguarda la norma relativa ai presupposti per cui un giudice può stabilire di applicare le misure cautelari. Essi concernono una valutazione sul pericolo di fuga, sulla reiterazione del reato, sull’inquinamento delle prove o il concreto e attuale pericolo che la persona commetta delitti contro l’ordine costituzionale, delitti di criminalità organizzata o “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale”. Nello specifico, ai cittadini si chiede se intendono abrogare quella parte normativa sulla reiterazione del reato, quale motivazione per la misura cautelare. Sarebbe, cioè, più difficile applicare tali provvedimenti, eliminando una delle sue possibili giustificazioni.

Votando Sì, l’elemento della reiterazione verrebbe escluso dai requisiti per l’applicazione delle misure cautelari. Votando No, invece, vi resterebbe.

Tra le questioni controverse, il regime cautelare di alcuni reati di allarme sociale, quali i maltrattamenti in famiglia e lo stalking, qualora fosse abrogata la reiterazione. La violenza di genere non rappresenta un delitto contro l’ordine costituzionale, non rientra nella criminalità organizzata, l’autore può non avere prove da inquinare e spesso non scappa. Lo spazio che resterebbe, dunque, sarebbe quello dei casi di violenza commessa con uso di armi o “di altri mezzi di violenza personale”. Di conseguenza, sarebbe più complicato applicare al violento o allo stalker una misura cautelare, tra le quali rientrano pure l’allontanamento dalla casa familiare o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

3) Scheda gialla. «Volete voi che siano abrogati: l’ “Ordinamento giudiziario” approvato con Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6, limitatamente alle parole: “, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura”; la Legge 4 gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se è idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il Decreto Legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché’ disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonché’ per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”; il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art. 13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole: “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art. 13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti,”; art. 13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché’ sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima.”; art. 13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art. 13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art. 13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’articolo 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il Decreto-Legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’articolo 13, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160»?

Il terzo quesito si occupa della cosiddetta separazione delle carriere in magistratura. La norma in esame è quella sull’Ordinamento giudiziario, relativamente alla parte in cui si disciplina il passaggio di un magistrato da una funzione all’altra. Ossia dalla funzione requirente (il sostituto procuratore, che avvia e conduce le indagini e che, come pubblico ministero, rappresenta l’accusa nel processo) a quella giudicante (il giudice che emette la sentenza), e viceversa. Oggi tale passaggio è possibile un massimo di quattro volte. Votando Sì, quindi, si azzera la possibilità di passare da una funzione all’altra. Il No, invece, lascia tutto inalterato. I sostenitori del Sì ritengono che, abrogando tale norma, si approdi, di fatto, alla separazione delle carriere. Questo, allo scopo di ottenere una figura di giudice “terzo”, senza contiguità o conflitti di interesse con i magistrati della pubblica accusa. Con l’abrogazione, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale. I fautori del No, viceversa, ribattono elencando le cifre. Negli ultimi 16 anni – ovvero dalla riforma Castelli-Mastella del 2006 – in media sono passati dalla funzione di giudice a quella di pm meno di venti magistrati all’anno; dalla funzione di pm a quella di giudice in media 28,5 magistrati ogni 12 mesi. In pratica, il numero di passaggi da giudice a pm ha coinvolto solo due magistrati su mille, quello inverso solo 3 su mille. Come dire: tanto rumore per nulla.

4) Scheda grigia. «Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 27 gennaio 2006, n.25, recante «Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari, a norma dell’art.1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005, n.150», risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art.8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.7, comma 1, lettera a)”; art.16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.15, comma 1, lettere a), d) ed e)”?».

Il quarto quesito riguarda le “pagelle ai magistrati”, ossia le valutazioni di professionalità sugli appartenenti all’Ordine giudiziario. Una valutazione sull’operato dei magistrati, oggi, compete al Consiglio superiore della Magistratura, che decide sulla base di analisi effettuate anche dai Consigli giudiziari e dal Consiglio direttivo della Corte di cassazione, l’equivalente dei primi presso la Suprema Corte. I consigli giudiziari sono organismi territoriali composti da magistrati e da membri “non togati”: avvocati e professori universitari in materie giuridiche. La norma di cui si chiede l’abrogazione referendaria, però, consente oggi di decidere solo ai magistrati, tra i membri dei consigli giudiziari. Con il Sì, pertanto, si vota per riconoscere anche ai membri “laici” la partecipazione alle “pagelle dei magistrati”. Con il No, invece, tutto resterebbe come è adesso, senza estendere tale diritto di voto ai membri non togati.

5) Scheda verde. «Volete voi che sia abrogata la legge 24 marzo 1958, n.195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’art.23, né possono candidarsi a loro volta”?».

La legge in questione – approvata nel 1958 ma oggetto di successive modifiche – è relativa alla costituzione e al funzionamento del Csm, organo di autogoverno della magistratura, il cui scopo è di garantirne l’autonomia e l’indipendenza dagli altri poteri. Il Csm, infatti, è un organo di rilievo costituzionale. Cioè è previsto dalla Costituzione, ma da essa non direttamente disciplinato nelle funzioni, specificate dalla normativa in esame. Il quesito referendario si propone di incidere sulle norme in materia di elezione dei membri togati del Csm, ossia gli appartenenti alla magistratura. Nel Csm – composto da 27 membri – ci sono tre componenti di diritto (presidente della Repubblica, che lo presiede anche; primo presidente e procuratore generale della Cassazione). Gli altri consiglieri vengono eletti ogni quattro anni. I membri elettivi si dividono, appunto, tra togati e laici (esperti di diritto, votati dal Parlamento). Attualmente, per candidarsi al Csm, un magistrato deve depositare una lista di almeno 25 firme di colleghi. Votando Sì, si opta per cancellare la raccolta di firme, riportando in vigore la normativa originaria, così come approvata 64 anni fa. Le vecchie disposizioni permettevano a qualunque magistrato di candidarsi liberamente. Questo, secondo i sostenitori del Sì, indebolirebbe il potere delle cosiddette “correnti”, i gruppi con orientamento politico rappresentati in seno all’Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe. La legge attuale, in sostanza, impone agli aspiranti candidati di ottenere il beneplacito delle correnti o, il più delle volte, di essere ad esse iscritti. Abrogando l’obbligo di raccogliere firme, le votazioni tornerebbero a privilegiare le qualità personali e professionali del magistrato-candidato, non gli interessi delle correnti o il loro orientamento politico. Votando No, invece, tutto resterebbe come adesso.

sabato, 4 Giugno 2022 - 16:12
© RIPRODUZIONE RISERVATA