Debiti al Consiglio dell’Ordine di Napoli, pioggia di esposti in procura. Bufera per le Pec di ‘riscossione’ di mancati pagamenti

Toghe

E’ bufera al Consiglio dell’Ordine di Napoli. I conti non tornano a causa del maxi-debito di un milione e centomila euro che l’Ente ha nei confronti di Inps ed Erario; gli avvocati si sono visti recapitare via Pec intimazioni di pagamento per (presunte) tasse non pagate in periodi assai risalenti nel tempo (alcune pretese sono ancorate al 1999); e l’attuale direttivo del Coa è nell’occhio del ciclone, con possibili ‘ricadute’ di consensi in chiave elettorale in vista delle elezioni previste tra pochi mesi. Sullo sfondo si muove la procura della Repubblica di Napoli cui sono arrivati numerosi esposti, l’ultimo dei quali firmato proprio dal presidente del Coa.

In questo polverone c’è chi ha chiesto le dimissioni del presidente Antonio Tafuri, ma lui non ha inteso rimettere il mano e, forte della maggioranza all’interno del Consiglio, ha ottenuto l’approvazione di un particolare incarico allo scopo di tentare di rientrare nella situazione debitoria: disposte ‘due diligence’ «affinché, verificate le debitorie recentemente scoperte, siano individuati i correttivi da effettuare in sede di assestamento del Bilancio preventivo 2022».

L’incarico – si legge in una nota a firma di Tafuri – «sarà conferito a due dottori commercialisti di comprovata esperienza in materia di contabilità pubblica, la cui scelta è demandata al Presidente e al Consiglio dell’Ordine dei Dottori commerciali di Napoli». All’esito delle verifiche e delle indicazioni degli ‘esperti’ «sarà sottoposta all’Assemblea straordinaria l’approvazione del nuovo preventivo 2022 con le modiche e i correttivi necessitati dalle evidenze sin qui emerse e che eventualmente emergeranno».

Non ha, invece, avuto seguito – nel corso della discussione in Consiglio – la richiesta di dimissioni avanzata da alcuni consiglieri di minoranza: nello specifico sono state proposte le dimissioni di Tafuri, del tesoriere Elena De Rosa e del segretario Giuseppe Napolitano. Tafuri, tuttavia, ha già pubblicamente spiegato di non essere intenzionato a fare un passo indietro, dal momento che non si ritiene responsabile di eventuali omissioni di controllo: cartelle esattoriali ed avvisi che avrebbero accesso la spia rossa erano puntualmente fatte sparire dal direttore amministativo (sospeso dall’incarico), così da rendere impossibile qualsiasi verifica. E, allora, per Tafuri e la sua maggioranza non resta altro da fare che varare un piano di rientro della situazione debitoria che parte addirittura dal 2008, lasciando alla procura il compito di individuare responsabilità penali nella vicenda.

Analoga investitura, la procura, l’ha ricevuta da tre consiglieri di opposizione (Eugenio Pappa Monteforte, Sabrina Sifo e Ilaria Imparato) che si sono rivolti pure alla Corte dei Conti. «Gli esposti fatti da me e dalle colleghe Sabrina Sifo e Ilaria Imparato – spiega l’avvocato Eugenio Pappa Monteforte a webradioiuslaw.it – rappresentano un atto dovuto, è un momento nel quale fare chiarezza e dissipare ogni dubbio. Ritenevamo doveroso che fossimo noi ad interessare gli enti competenti, affinché fosse sgombrato ogni dubbio, fatta la massima chiarezza, a tutela della istituzione, degli iscritti e di tutti i consiglieri».

Secondo il consigliere, «l’atto rappresenta la continuazione di un percorso che noi firmatari degli esposti abbiamo cominciato da un anno e mezzo a questa parte. Io sono consigliere solo da febbraio 2020, poi a seguito del Covid diciamo che le funzioni reali le ho assunte a partire dall’estate 2020, sono consigliere da due anni, ma sono battaglie in nome della trasparenza che conduciamo da un anno e mezzo, con esposti, istanze di accesso agli atti – atti negati sulla base dell’assenza di un interesse, per noi proceduralmente un motivo infondato -, con segnalazioni all’Anac, istanze fatte al responsabile anti corruzione».

Sui motivi degli esposti, Pappa Monteforte denuncia: «La documentazione non ci è stata fornita, anche in sede consiliare. Abbiamo chiesto una relazione del consigliere tesoriere e del collegio dei revisori dei conti. Non ci è stato dato alcun riscontro, né indicato un tempo entro il quale avere queste relazioni». Il consigliere di minoranza assicura che «abbiamo riflettuto in modo attento. Ci siamo interrogati sulla possibilità che gli enti interessati dai nostri esposti potessero agire d’ufficio». A seguito della presunta inerzia dei vertici del Coa, la decisione di rivolgersi all’autorità giudiziaria. «Io sono un civilista, mi è stata segnalata da colleghi una norma, il 361 del codice penale, che – dice Pappa Monteforte – riguarda l’obbligo da parte di un pubblico ufficiale, il quale viene a conoscenza di una possibile ipotesi di reato, di farne denuncia. E mi si diceva che noi, quali consiglieri dell’ordine, quindi componenti di un ente pubblico anche se non economico, possiamo essere avvicinati a dei pubblici ufficiali. E c’è un vecchio regio decreto del 1934, relativo alla Corte dei Conti, che prevede addirittura un obbligo di denuncia nel momento in cui si viene a conoscenza di un fatto che potrebbe generare un danno erariale. Quindi anche solo la possibile ipotesi, non la certezza che possa configurarsi. Abbiamo ritenuto che fosse un atto dovuto non solo nei confronti dei colleghi, ma anche dal punto di vista procedurale».

Pappa Monteforte aggiunge che «nella ultima assemblea di bilancio, ma già in consiglio, evidenziammo il metodo per noi non corretto, non ispirato a quelli che devono essere i principi di democraticità e trasparenza che devono ispirare un’istituzione quale il consiglio dell’ordine avvocati di Napoli. Evidenziammo che nessuna verifica potevamo fare, perché non avevamo ricevuto la documentazione in tempo utile. Il nostro voto contrario, più che sul merito, fu espresso sul metodo».

Se ai magistrati inquirenti toccherà sbrogliare la matassa delle responsabilità e capire quando e come ha iniziato a gonfiarsi il ‘bubbone’ debitorio, all’Ordine potrebbe dover trovare una soluzione a seguito del malcontento dilagante per via degli ‘avvisi’ a pagare inviate a decine e decine di avvocati. Non appena è venuta fuori la notizia del maxi-debito e del mancato versamento di imposte, tasse e contributi previdenziali, il Coa ha pensato bene di correre ai ripari (almeno in parte) bussando alle porte degli avvocati. In che modo? Scavando negli archivi alla ricerca di mancati pagamenti della quota di iscrizione all’Ordine (che va versata ogni anno) e inviando la ‘cartolina’ di intimazione a mettersi in regola pena la sospensione dall’Albo. Inutile dire che questo modus operandi ha innescato la rabbia di tanti. Essendo le richieste agganciate ad annualità assai risalenti nel tempo, molti lamentano l’impossibilità di dimostrare il pagamento perché non hanno più la ricevuta. E, a sostegno delle argomentazioni che vogliono l’invio delle ‘cartoline’ frutto del tentativo di gettare la rete e vedere che abbocca, c’è chi ha fatto notare come la ‘cartolina’ sia arrivata anche agli avvocati di Ischia per l’anno 2017: in questo periodo, a causa del terremoto, gli avvocati ischitani erano esentati, ma hanno ricevuto ugualmente la pec ‘minatoria’. E’ caos, insomma.

sabato, 29 Ottobre 2022 - 18:59
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