Inchiesta Rione Terra, il fattore tempo al Riesame. Ma è scontro gip-pm

Esterno edificio della procura della repubblica di Napoli (foto Kontrolab)
di Giorgio Pari

L’inchiesta sugli appalti al Rione Terra di Pozzuoli, sfociata nell’esecuzione di 11 misure cautelari, è una partita scandita dal timer. E sullo sfondo emerge uno scontro tra gip e pm. Ma intanto, il fattore tempo si annuncia centrale, nel prossimo step al Riesame. Una tappa già annunciata dai difensori degli indagati. Un prologo, peraltro, potrebbe andare in scena in sede di interrogatori di garanzia. Sul tavolo c’è il rompicapo tra l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari e la distanza dai fatti contestati. Le richieste della procura di Napoli, infatti sono partite nel novembre di 2 anni fa. Nel marzo scorso c’è stata poi una integrazione istruttoria. Lunedì scorso, infine, l’esecuzione dei provvedimenti. Lo stesso gip Antonio Baldassarre si è soffermato sul tema, tra le pagine dell’ordinanza cautelare. Un modo forse di giocare d’anticipo.

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«Non sfugge evidentemente – scrive il giudice – che i fatti per cui si procede risalgono al periodo compreso tra i primi mesi del 2021 e l’aprile 2022, quando sono state interrotte le intercettazioni che costituivano la principale fonte di conoscenza delle fattispecie in corso. Si tratta di un tempo certamente non remoto, pur se è innegabile che lo sviluppo delle acquisizioni investigative da parte delle forze dell’ordine, la redazione della richiesta cautelare da parte della Procura e infine la valutazione della stessa e la stesura della presente ordinanza da parte dello scrivente hanno comportato dei tempi piuttosto lunghi, in relazione alla complessità delle questioni in camp». Ciò, tuttavia, «non pare aver assunto nel caso di specie un significativo rilievo sul piano dell’attualità delle esigenze cautelari, salvo – precisa il gip – quanto si è detto a favore degli indagati nella valutazione delle singole posizioni per le quali si sono verificati dei cambiamenti effettivi. Per il resto è innegabile che si sia in presenza di condotte influenzate sicuramente dal ruolo assunto e dalla posizione rivestita dai protagonisti di esse, ma anche che tali ruoli e posizioni paiono esser stati l’occasione per la commissione di reati che sono tutti espressione di una logica, molto chiara nei comportamenti degli indagati, che si basa sulla volontà di sottomettere la gestione della cosa pubblica ai voleri e interessi dei privati». In questo senso «e con questa precisazione, che si trae specificamente dagli atti di indagine e dalla disamina dei comportamenti spregiudicati e spudorati degli indagati, le esigenze cautelari sono del tutto attuali e concrete, anche per quei fatti e quei comportamenti più risalenti».

Del resto «si è visto che le indagini preliminari – argomenta l’ordinanza – hanno consentito di fotografare un lasso di tempo molto ampio, pari a circa un anno e mezzo, nel corso del quale il contegno tenuto dai soggetti monitorati è stato sempre uguale, se non s’è addirittura aggravato e divenuto più esplicito e senza limiti. Il che vuol dire che difficilmente qualcosa può esser cambiata ni maniera significativa nella fase successiva, nel periodo di tempo che ha condotto all’adozione della presente ordinanza».

Né, sostiene ancora il gip «paiono aver avuto significativo rilievo nei sensi qui di interesse, alcune vicende pur rilevanti, quali le nuove elezioni amministrative a Pozzuoli e gli avvicendamenti nelle cariche di rilievo nazionale, che sono stati dovuti alla pratica dello spoil system a seguito delle elezioni politiche».

Né l’uno né l’altro evento, infatti, «paiono aver avuto effettivo rilievo sui comportamenti degli indagati, per i quali le vicende della politica, intesa come la nobile arte della gestione e della composizione degli interessi, sono solo sullo sfondo rispetto agli interessi personali e di parte prettamente economici, cui sono funzionali le cointeressenze derivanti dai ruoli politici rivestiti».

Ma il gip Baldassarre fa anche «una riflessione conclusiva», a cui ritiene «di non potersi sottrarre con riferimento alle scelte degli inquirenti». E così apre un fronte conflittuale con la Procura. «S’è detto, infatti, che le fattispecie di traffico di influenze ben possano tradursi – afferma – nel prosieguo in forme di concorso in corruzione per atto contrario a doveri di ufficio, tutte le volte in cui i soggetti incaricati di spendere i propri uffici e le proprie influenze su amministratori locali, pubblici ufficiali o incaricati di pubblici servizi finiscano per condividere con costoro le utilità ricevute oppure, ancor più, quando queste utilità siano destinate proprio o anche ai soggetti pubblici predetti». Questo sarebbe «palesemente quel che avrebbe potuto accadere» e «presumibilmente sarà anche accaduto alle prese con le dazioni e i pagamenti di Musella – ipotizza -. La disinvoltura con la quale questi era solito ricompensare e omaggiare i vari politici e funzionari di interesse, al punto da tenerne una regolare contabilità su fogli Excel gestiti dal suo dipendente Flaminio, rende del tutto verosimile che cosi come aveva pagato Oddati e Santoro per ottenere i contatti con i soggetti pubblici che gli interessavano, altrettanto egli avrà fatto – o quanto meno avrebbe inteso fare – anche proprio con questi soggetti titolari di poteri e facoltà pubbliche e in grado di incidere sugli affari e sugli appalti che facevano gola appunto a Musella e alle sue imprese».

Sarebbe dunque «del tutto verosimile che, se le indagini tecniche e quelle tradizionali si fossero prolungate ancora anche solo per qualche settimana, ebbene certamente si sarebbe venuti a conoscenza degli esiti di quelle influenze illecite mercanteggiate da Musella mediante i suoi emissari e si sarebbe potuto apprendere se, per assicurare la buona riuscita degli affari a cui quest’ultimo puntava, si fosse dato corso a delle dazioni corruttive o a altri delitti contro la pubblica amministrazione assimilabili». Ed ecco perché, a detta del giudicante, «l’esecuzione delle perquisizioni e la conseguente parziale discovery delle indagini in corso ha impedito di venire a capo. In quell’occasione, infatti, tutti gli indagati sono venuti a conoscenza della pendenza delle investigazioni a proprio carico e, quanto meno in parte, dei temi delle indagini stesse, così che sono stati messi in allarme anche sull’opportunità, da li in poi, di prestare molta attenzione quanto meno nelle loro conversazioni telefoniche». L’interruzione delle intercettazioni, «poi, voluta dagli inquirenti quando alcune delle condotte erano ancora in corso e quando si profilavano altri reati di cui v’erano in quel momento anche alcuni spunti e tracce, ha reso impossibile conoscere gli esiti di quelle condotte e i presumibili sviluppi penali ulteriori di esse». Di tutto questo «non resta che prenderne atto con quel che ne consegue in tema di indizi di reato per le vicende in esame». E adesso, ci si aspetta la mossa dei pm.

mercoledì, 17 Gennaio 2024 - 08:00
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