Torre del Greco, il killer dei Falanga confessa: «Mi accorsi tardi dell’errore» Così morì Cardone, vittima innocente

Tribunale Giustizia
di Dario Striano

La vittima innocente si trovava ‘al posto sbagliato al momento sbagliato’. Una circostanza fatale, troppo spesso fatale nei territori dilaniati dalla criminalità organizzata. Un ‘errore’  – qui il baffo per forzare la parola è d’obbligo – che, il 26 settembre del 1998, è costato la vita a Vincenzo Cardone, il 23enne ucciso per «uno scambio di persona» dagli uomini del clan Falanga di Torre del Greco. A distanza di più di un anno dalla sua ultima confessione, Antonio Scognamiglio, già condannato per quell’omicidio a 30 anni di carcere nel 2017 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli, Marina Cimma, ieri mattina dinanzi alla quarta sezione della Corte d’Appello d’Assise di Napoli, ha ribadito che il giovane corallino «fu ucciso per un tragico errore». «Mi sono accorto che stavamo colpendo la persona sbagliata – ha detto l’imputato in aula, difeso dall’avvocato Antonio del Vecchio – ma non subito». Soltanto dopo che la scarica di proiettili travolse il corpo del  giovane davanti ad un bar della Litoranea di Torre del Greco, dove la vittima era solita prendersi il caffè. E così, un fabbro che si guadagnava onestamente da vivere, e che nulla c’entrava con gli affari criminali del clan, fu ucciso perché scambiato per Rosario Ramondo, alias ‘o capucchiò, ritenuto da Sebastiano Tutti – coimputato nel processo – anche lui condannato a 30anni in primo grado, tra i responsabili dell’uccisione del fratello Santo. «Quando ho detto “no” – ha continuato Antonio Scognamiglio – era ormai troppo tardi, il ragazzo era già stato raggiunto dai proiettili». Quindi, dopo le dichiarazioni rese in aula da Scognamiglio, la Corte ha rinviato l’udienza a fine settembre per la requisitoria del procuratore generale.

Lo scambio di persona
A premere il grilletto durante l’agguato fu Antonio Mennella ‘o picciuotto, condannato invece a ‘soli’ 12 anni di reclusione perchè pentitosi. La sua collaborazione con la Giustizia si rivelò di fondamentale importanza per l’individuazione dell’intero commando di fuoco. Un commando autorizzato da Domenico Falanga, figlio del boss Peppe ‘o struscio, anche lui condannato a 12 di carcere, e anche lui ‘gola profonda’ del clan. A dare la ‘battuta’ ai due sicari in sella a uno scooter fu Giovanni Mennella, noto come ‘o pezzottiello, poi massacrato il 17 marzo del 1999. Al segnale di Giovanni, Antonio Mennella aprì il fuoco scaricando l’intero caricatore della sua pistola contro il fabbro 23enne. Una versione dei fatti che è stata confermata da tutti gli imputati nel procedimento di primo grado quando Antonio Scognamiglio e Sebastiano Tutti – assistito dall’avvocato Leopoldo Perone – chiesero scusa in aula ai familiari dell’ennesima vittima innocente della criminalità organizzata.

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venerdì, 6 Luglio 2018 - 11:28
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