Nei campi per appena 50 centesimi l’ora,
la «pacchia» dei bambini rom
Caporalato, report sui nuovi schiavi

caporalato
di Giancarlo Maria Palombi

Quanto vale la fatica di un uomo? Due euro l’ora. È questo il salario medio che percepisce un bracciante di etnia Rom nelle campagne della province di Caserta. Le donne? Loro, secondo il tariffario dei caporali percepiscono ancora meno. La loro paga oraria è solitamente la metà di quella degli uomini, circa 1 o 1,5 euro l’ora. Cifra che si dimezza ulteriormente per i minorenni che lavorano la terra: 50-75 centesimi l’ora. Questi valori dipendono dalla ‘borsa della manodopera’, un tariffario che viene stabilito all’inizio della stagione di raccolta dai proprietari di grandi terreni messi a coltura. E, da quando il salario è sceso al di sotto dei 2,5 euro l’ora, la manodopera locale non è disposta più a lavorare, lasciando spazio ai braccianti stranieri, per lo più Rom provenienti dalla Bulgaria, quasi gli unici che ad oggi sono disposti a fare i braccianti al salario stabilito. Le condizioni di lavoro dei nuovi schiavi dei terreni agricoli della Campania sono state analizzate dall’Osservatorio Placido Rizzotto nel Quarto Rapporto su Agromafie e Caporalato presentato dalla Cgil – Flai che ha analizzato il caso di Mondragone, in provincia di Caserta, 25mila abitanti e una folta comunità Rom proveniente dalla Bulgaria, in poco tempo divenuta schiava e al contempo sfruttatrice dei lavoratori nei campi.

Chi sono i nuovi schiavi
Non si tratta di una comunità stanziale. I Rom bulgari (500 o 600 persone tra maggio e giugno e di 1000 – 1200 a settembre, secondo le stime dell’Osservatorio) si insediano stagionalmente in provincia di Caserta, per non più di tre mesi. Ma in questo arco di tempo riescono a guadagnare mensilmente anche “5 o 7 volte” il salario che raggiungerebbero in Bulgaria. «Dividono l’anno lavorativo in due parti: quello svolto in Italia e quello svolto nella loro città di origine, integrando così i due redditi», dichiara una donna intervistata dalla Cgil – Flai. In provincia di Caserta arrivano solitamente sui bus, in viaggi ben organizzati che gli consentono, al loro arrivo a Mondragone, di avere accesso subito a una casa e a un lavoro dopo pochi giorni. È un ciclo migratorio ben strutturato, a volte un vero e proprio ‘pacchetto per l’espatrio’ gestito per lo più dai capi di organizzazioni criminali dalla Bulgaria che sono in stretto contatto con la mafia locale. Per reclutare i braccianti, preparare il trasferimento e procurare un alloggio e un lavoro a gruppi di decine di persone serve un’organizzazione tale che implica «una capacità di agire a livello transnazionale che soltanto gruppi specializzati nell’uno e nell’altro Paese possono attivare». Una situazione che si è modificata con lo smantellamento di buona parte delle cosche dei Casalesi in Campania, lasciando «vuoti di potere – osserva la Cgil-Flai- che gruppi malavitosi di Rom bulgari, in particolare quelli che gestiscono la manodopera, stanno riempiendo» eppure «i boss interni alla comunità Rom di Mondragone sono pochi, non superano le 5 o 6 unità», spiega un intervistato, perchè di solito i veri capoclan restano in Bulgaria.

Il tour lavorativo
Il ‘pacchetto per l’espatrio’ consente ai braccianti un viaggio collettivo in pullman o in piccoli furgoni che costa circa 100 euro. All’arrivo a Mondragone, intere famiglie vengono portate nei ‘Palazzi Cirio’, strutture fatiscenti e abbandonate, sia all’esterno che all’intero. «Il costo di affitto a persona si aggira sulle 70-100 euro al mese, senza contratto e spesso senza l’idoneità alloggiativa per poterci abitare», spiega un intervistato alla Cgil Flai. Ogni mattina da quei palazzi evanescenti partono squadre di braccianti, intere famiglie che lavorano tra Mondragone e le campagne periferiche circostanti. A volte raggiungono anche zone distanti fino a 150 chilometri, nel basso Lazio o in provincia di Salerno, e sono costretti a dormire in tende di fortuna prima di fare rientro a Mondragone alcuni giorno dopo, quando finisce il lavoro. I salari vengono stabiliti, appunto, dalla ‘borsa della manodopera’, una trattativa che passa per le mani di due caporali, uno Rom e l’altro italiano. Il primo si relazione direttamente con i braccianti nella loro lingua; il secondo negozia la paga oraria con l’imprenditore. Ciascuno trattiene per sé la propria quota in un sodalizio «strutturato alla scopo di estorcere denaro ai braccianti e sfruttarli doppiamente», si legge nel Rapporto. Questo meccanismo porta un’intera famiglia rom di 4 o 5 persone a ricevere la stessa paga che percepirebbe un bracciante adulto lavorando la metà del tempo.

venerdì, 20 Luglio 2018 - 12:47
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