Crollo di rampa Nunziante, la difesa di Velotto: «Dai testi solo nefandezze. Nessuna prova sulle cause del cedimento»

Torre Annunziata, crollo della palazzina di Rampa Nunziante (foto Kontrolab)
di Roberta Miele

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«La responsabilità penale di Gerardo Velotto non è emersa perché non c’è prova che il crollo sia la diretta conseguenza della rimozione del tramezzo incriminato e quindi del cedimento che ha interessato il maschio murario numero tre».

Gerardo Velotto, imputato nel processo per il crollo della palazzina di rampa Nunziante a Torre Annunziata, che il 7 luglio 2017 venne giù uccidendo otto persone (tra cui due bambini), è accusato di crollo e omicidio colposi in quanto committente dei lavori effettuati nell’appartamento al secondo piano di cui è promissario acquirente. Lavori che, secondo la procura oplontina, hanno causato il cedimento dell’edificio. Di tutt’altro avviso la difesa di Velotto, rappresentata dagli avvocati Giuseppe della Monica e Camillo Tufano, che all’udienza di ieri ha iniziato la propria arringa.

Nei giorni precedenti il crollo, Velotto «ha rimosso la pavimentazione, intonaci, infissi, inferriate e ha sistemato il giardino. Tutte operazioni di edilizia libera», ha dichiarato l’avvocato Tufano. Fino al 23 giugno, ha sostenuto la difesa, l’interno dell’appartamento «era immacolato» ed era stato solo sistemato il giardino, smentendo così diversi testimoni che nel corso del processo hanno parlato di lavori molto invasivi, tanto da rendere l’immobile «un capannone».

«La invito a fare un giro sul luogo del crollo, presidente, per capire quante nefandezze sono state raccontate in questi giudizio»: l’appello del legale al giudice Todisco. Negata anche l’ipotesi di utilizzo di un martello pneumatico sia per effettuare le tracce degli impianti che per altro: «Sarebbe stato impossibile, perché non c’era la corrente elettrica e non è stato trovato alcun generatore. Il martello è stato utilizzato al primo piano». E poi ha incalzato: «Al banco degli imputati dovrebbero esserci Francesco Gallo e Damiano Opomia che sin dalle indagini preliminari hanno fatto dichiarato di avere effettuato lavori abusivi ai piani inferiori».

Quanto all’abbattimento del tramezzo che avrebbe innescato il crollo, «dobbiamo ipotizzare che avesse mantenuto il peso del palazzo intero», ha esclamato il legale. E in ogni caso, Velotto – ha dichiarato il legale – si servito di un esperto: l’architetto Massimiliano Bonzani, che al contrario sostiene di essere il direttore dei lavori solo per l’appartamento al primo piano e per il condominio. «L’incarico gli fu affidato oralmente, come avvenne in precedenza per la villa della moglie di Velotto». D’altronde, ha insistito l’avvocato Tufano, la rimozione del tramezzo era inclusa nella scia di marzo 2016 a firma dell’architetto, che rispetto alle opere comprese in quel documento era il direttore dei lavori, così come lo è stato per gli interventi ulteriori. «I tramezzi divelti per le attività predatorie finalizzate al furto rame. Bonzani disse “facciamo meglio ad abbatterli e a ricostruirli”», ha continuato.

Ad ogni modo, nessuno poteva sapere quali contromisure di sicurezza utilizzare per la palazzina: «In assenza di atti depositati al comune, i dettagli costruttivi dell’edificio, della trave incriminata li abbiamo potuti scoprire solo dopo il crollo». E ancora: «L’immobile è il frutto di ripensamento di cui nessuno aveva contezza, nessuno poteva sapere che il solaio di copertura di terzo e quarto piano erano poggiati in una nicchia».
Durante l’udienza ha concluso la sua arringa la difesa di Massimiliano Bonzani, accusato oltre che di crollo e omicidio colposi, anche di falso. «Ma può essere accusato di falso per avere menzionato nella scia degli atti esistenti?», si è chiesto l’avvocato Luciano Bonzani.

«Dal 1957 (anno della costruzione, ndr) ad oggi nessuna autorità ha sentenziato l’illegittimità del fabbricato», ha spiegato. La tesi accusatoria, secondo la difesa, frana per la mancanza di documenti di cui all’ufficio tecnico del comune torrese non c’è traccia, sebbene risultino da tre brogliacci: «Li abbiamo ripercorsi, in rampa Nunziante ci sono due palazzi, ma risultano rilasciate tre licenze. Una non si trova. Potrebbe essere la variante che autorizza la costruzione dei piani superiori dell’immobile? Potrebbe essere la variante». Quanto al primo piano a differenza di quanto sostenuto dal consulente della procura Alberto Coppola, secondo l’avvocato, non sono stati realizzati sotto la direzione di Massimiliano Bonzani poiché erano già esistenti addirittura nel 2002, «come si evince anche dalle foto di Google Maps». «In questo processo – ha concluso il legale – si è passati dai sospetti alle congetture, dalle congetture agli indizi, ma non si è arrivati alle prove, l’anello mancante. La pubblica accusa ha fallito».

giovedì, 15 Aprile 2021 - 13:12
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