Strage funivia, l’elenco degli indagati potrebbe allungarsi. L’ipotesi: cavo spezzato per uso smodato dei forchettoni


Sono continuati anche ieri, nel giorno della festa della Repubblica, gli interrogatori delle personale della funivia del Mottarone. Persone sinora ascoltate dai carabinieri perché informate dei fatti, che con le loro testimonianze possono contribuire a chiarire molti aspetti – soprattutto tecnici – del terribile incidente del 23 maggio che è costato la vita a 14 persone e lasciato orfano l’unico sopravvissuto. Ma, secondo quanto emerge, la Procura potrebbe iscrivere nel registro degli indagati anche qualcuno degli operai che, rispondendo alle direttive del caposervizio Gabriele Tadini che si trova agli arresti domiciliari, avrebbero lasciato inseriti i forchettoni che bloccavano il freno di emergenza. L’accusa nei loro confronti sarebbe quella di concorso nella rimozione volontaria di cautele contro gli incidenti.

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Sarebbe stata infatti questa condotta, lasciare i forchettoni inseriti, a determinare la strage oltre al cavo spezzato. Se il forchettone della funivia 3 quella maledetta mattina non fosse stato ancora inserito, anche col cavo spezzato la cabina su cui viaggiavano i 15 turisti sarebbe rimasta sospesa ma immobile, sostenuta da altri cavi. La mancanza del freno di emergenza ha invece causato l’arretramento a tutta velocità della cabina che poi si è schiantata contro un pilone in cemento, si è staccata ed è finita al suolo.

Tadini, l’unico indagato rimasto agli arresti (dal carcere ai domiciliari) dopo che il gup di Verbania ha smontato il provvedimento della Procura disponendo la libertà per gli altri due indagati (il proprietario della funivia Luigi Nerini e e il direttore di esercizio Enrico Perocchio), ha dato più conferme rispetto a quella che appare una prassi, ovvero non sbloccare il freno. Non lo avrebbe fatto, o meglio avrebbe disposto agli operatori di non farlo, per evitare un’avaria che già aveva determinato qualche problema alla cabina 3. Secondo il suo resoconto, già 5 volte prima del 7 maggio e una decina dopo l’8 maggio, compreso il giorno prima della strage, i forchettoni non sarebbero stati rimossi. E la conferma verrebbe da un operatore svizzero appassionato di cabinovie che avrebbe messo a disposizione della Procura il proprio materiale video che documenterebbe la presenza di questi ceppi già negli anni passati.

Il procuratore Olimpia Bossi intanto sta valutando se ricorrere al tribunale del riesame contro l’ordinanza con cui il gup ha rimesso in libertà Nerini e Perocchio. Ma gli inquirenti si concentrano soprattutto sulle cause tecniche del disastro. Non solo il forchettone che blocca il freno di emergenza ma anche le ragioni per le quali il cavo che sosteneva la funivia si è spezzato. Nonostante si trattasse di un ‘pezzo’ vecchio 23 anni, non avrebbe dovuto spezzarsi perché destinato a durare in eterno e oggetto di controlli nel novembre del 2020. Secondo una delle ipotesi l’estrema usura, tale dal farlo spezzare, potrebbe essere derivata dall’uso dei forchettoni per interi turni di esercizio.

Di che natura era, inoltre, il guasto lamentato da Tadini? Il caposervizio ha parlato di un rumore caratteristico della perdita di pressione proveniente dal sistema frenante. Ma i manutentori non avevano trovato niente. Per rispondere serve un accertamento tecnico irripetibile che prevede avvisi di garanzia ai soggetti (persone fisiche, aziende, enti pubblici) potenzialmente da coinvolgere in modo che a loro volta scelgano i loro esperti di fiducia. Sarà anche necessario accedere nella carcassa della cabina e recuperare ancora diversi frammenti.

giovedì, 3 Giugno 2021 - 09:24
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