Bimba morta di stenti, la madre resta in cella. Il gip: «Ha fatto male alla persona più vulnerabile per la sua relazione»

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Alessia Pifferi, la 37enne che a Milano ha lasciato morire di stenti la figlia di 16 mesi per trascorrere una settimana con il compagno, manifesta «una personalità non equilibrata, incline alla mistificazione e strumentalizzazione degli affetti» e «segnata da una totale mancanza di rispetto per la vita umana».

E’ quanto scrive il gip Fabrizio Filici del Tribunale di Milano nell’ordinanza di custodia cautelare di 21 pagine con la quale si dispone il carcere per la donna omicidio volontario in forma omissiva aggravato dai futili motivi, escludendo però l’aggravante della premeditazione che invece aveva contestato la procura. Per il gip la 37enne si è resa responsabile di «una condotta dall’impatto intrinsecamente ed estremamente violento anche se non in forma commissiva, nei confronti della persona in assoluto più vulnerabile con la quale si trovasse in relazione, alla quale era, come in effetti è stato, facilissimo fare del male».

Nel provvedimento il gip si sofferma a lungo sullo stato d’animo della donna nei giorni di agonia della sua bambina: «Emerge del tutto pienamente che l’indagata nel corso dei sei giorni in cui ha lasciato la bambina chiusa in casa da sola presso l’abitazione è passata da uno stato iniziale di superficiale incoscienza – probabilmente suffragato dal fatto che le scorse volte in cui aveva commesso un’analoga condotta per 48 ore non era successo nulla di irreperibile – a uno stato di consapevolezza molto più profondo che l’ha portata a ritenere praticamente certa, o altissimamente probabile, la morte della bambina: del che lei, come ha detto, era pienamente consapevole già il lunedì 18 luglio quando era rientrata a Milano».

A quel punto la donna, per il gip, «si prefigura esattamente la più che concreata eventualità che la figlia sia morta o stia morendo, e la soppesa, però, in un processo mentale che ha restituito in modo molto trasparente con le sue dichiarazioni, con la paura di introdurre un nuovo, e significativamente più grave, elemento di tensione con il compagno, magari tale da compromettere per sempre quel precario equilibrio che entrambi stavano ricercando». Ma perché non chiedere aiuto? Perché non rivolgersi alla sorella per chiederle di tenere la bambina? Per il gip Alessia Pifferi si sentiva giudicata, ragione per la quale aveva deciso di non contattare la congiunta: la donna avrebbe avuto «la paura e soprattutto l’orgoglio di non chiedere aiuto alla sorella, la quale potrebbe in qualsiasi momento andare nel suo appartamento a soccorrere la figlia, ma che dopo averla già giudicata così negativamente per il suo stile di vita, le avrebbe riservato un nuovo, ben più pesante, giudizio negativo e svalutante». 

Nel provvedimento c’è poi spazio anche per le dichiarazioni del compagno di Alessia, che ignorava la sorte toccata alla piccola. A lui era stato detto che la bimba era in compagnia della zia. L’uomo ha riferito che la donna si recava da lui senza la bambina perché «voleva respirare un po’». Alessia Pifferi era così concentrata sulla sua relazione da anteporla alla bambina: aveva una «forma di dipendenza psicologica dall’attuale compagno, che l’ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo dell’inflizione di enormi sofferenze» alla bimba. In un altro passaggio dell’ordinanza, il gip riporta un frammento dell’interrogatorio della donna nella quale lei afferma che a partire dalla giornata di domenica cominciò ad avere il timore che la sua bimba potesse morire: 1A partire dalla domenica, quando cominciavano a passare più giorni del solito, ho cominciato ad avere concretamente paura che la bambina morisse ma comunque mi auguravo che non succedesse. Questo augurio – ha aggiunto – nella mia mente un po’ era una specie di speranza, un po’ era il pensiero che magari le cose che le avevo lasciato le bastassero». 

sabato, 23 Luglio 2022 - 16:25
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