Statali, la Consulta striglia il Parlamento: «Tfs in ritardo? Viola la Costituzione. Serve norma su liquidazione subito»

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Se sei dipendente di un privato, la liquidazione è cosa immediata. Un dipendente pubblico, invece, deve attendere tempi incerti – in alcuni casi addirittura anni – per ottenere la liquidazione, ossia il ‘Tfs’ (trattamento di fine servizio).

Ebbene, sul tema della liquidazione erogata in differita si è pronunciata la Corte Costituzionale e la decisione solleva il coro di favore da parte dei pubblici dipendenti andati in pensione. Per la Consulta, infatti, differire la corresponsione dei trattamenti di fine servizio a chi va in pensione per raggiunti limiti di età o di servizio rappresenta una «lesione delle garanzie costituzionali» del lavoratore. Per questo è «indefettibile» e «prioritario» un intervento riformatore del Parlamento perché rimuova questo “vulnus”. Sotto accusa, l’articolo 3 comma 2 del dl n. 79 del 1997- che ha introdotto un termine dilatorio di un anno per la corresponsione della liquidazione – e l’articolo 12, comma 7, del dl n. 78 del 2010, che ha invece previsto la rateizzazione del Tfs.

La sentenza è stata emessa ieri (redattrice la giudice Maria Rosaria San Giorgio; pronuncia 130 del 2023) e chiude la questione di legittimità sollevata dal Tar del Lazio su ricorso di un poliziotto e dal tribunale di Velletri su richiesta di un dipendente Mef e del sindacato Confsal-Unsa. Nella pronuncia la Consulta sottolinea che rinviare il pagamento della liquidazione contrasta con «il principio costituzionale della giusta retribuzione», di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia «non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione». Si tratta di «un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana», nota la Corte. E la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio, nonostante preveda temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati, in quanto combinata con il differimento “finisce per aggravare il rilevato vulnus”.

Quindi la Consulta invita il Parlamento a fare presto: «Non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa» sui «gravi problemi» segnalati. La Corte Costituzionale, ad ogni modo, ha rispedito la palla nel campo del Legislatore considerato «il rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento del differimento comporta». Spetta dunque al Parlamento stabilire mezzi e le modalità di attuazione di una riforma che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria e assicuri una “gradualità” di intervento, magari partendo dai «trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri».

All’invito della Consulta rivolto al Parlamento si associa la Uil che vede nella pronuncia della Consulta un «risarcimento per le migliaia di lavoratrici e lavoratori pubblici che ancora, a distanza variabile dai 2 ai 7 anni, stanno aspettando di ricevere il loro salario differito». Gli effetti per lo Stato li aveva calcolati a maggio l’allora presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: «il costo di 14/15 miliardi è alla portata dell’Istituto», aveva detto proprio con riferimento all’ipotesi che la Consulta dichiarasse illegittimo il differimento.

sabato, 24 Giugno 2023 - 15:17
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