Picchiato e stalkerizzato dalla ex, Carlo vince in Tribunale ma perde i figli: «Dov’è lo Stato? I miei diritti di padre calpestati»

di Manuela Galletta

«Io vorrei sapere cosa deve fare un padre per vedere i suoi figli… Sono stato aggredito più volte, stalkerizzato, minacciato. La mia vita, dopo il divorzio, è stata un inferno, ho dovuto chiudere pure il mio studio. La mia ex non mi ha dato tregua. Ho speso soldi in avvocati, presentato oltre 40 denunce. Pochi mesi fa una sentenza mi ha dato ragione. E cosa ho ottenuto? Niente. Lo Stato non tutela i padri e il loro diritto di vedere i figli. Questa è un’ingiustizia». Carlo (il nome è di fantasia), docente universitario e fisioterapista, è amareggiato e arrabbiato.

Dopo dieci anni di matrimonio, la vita coniugale è naufragata. A causa «dell’atteggiamento violento» della mia ex, dice. Ma il punto è che, all’indomani della fine della storia, Carlo – che vive in provincia di Napoli – ha perso anche i suoi due figli, un maschio e una femmina, entrambi adolescenti. «Io vivo per loro, da anni lotto per vederli, ma in tutti questi anni mi sono scontrato con diritti di visita negati, ostilità che si è riflessa anche sui miei bambini nei miei confronti», spiega.

Sullo sfondo un crescendo di violenze fisiche e verbali che Carlo si è visto costretto a denunciare. Eppure avrebbe preferito evitare di ricorrere al giudice. «Ho sempre cercato una soluzione di civiltà, ma non è stato possibile», spiega. La prima volta, in Sardegna, chiuse un occhio, nonostante rischiò di brutto. Era già separato: invitò i figli nella sua residenza estiva e invitò pure l’ex moglie, ma qui la donna, durante un diverbio, lo accoltellò. Lui sporse denuncia, poi ritirò la querela. «Speravo che lei, resasi conto di quanto aveva fatto, capisse che io non volevo inasprire i toni, ma solo giungere a un compromesso civile», racconta Carlo.

Invece da allora la situazione è degenerata. La donna, è emerso da una serie di denunce presentate da Carlo e poi recepite in sede processuale, è arrivata persino a picchiarlo, coinvolgendo nell’aggressione il figlio avuto da precedente relazione. Era il 16 ottobre 2017. Carlo, quel giorno, si reca a casa della ex per riaccompagnare il figlio minore e chiede, al citofono, di vedere la figlia più piccola che dalla separazione non vedeva più (non per suo volere). Ne nasce un alterco con la donna la quale in pochi istanti esce fuori insieme al figlio e i due colpiscono Carlo con un arnese da giardino e con un bastone. La donna, in più, mantiene fermo Carlo mentre il ragazzo alza le mani.

In un’altra occasione la donna fa irruzione nello studio di Carlo, arrivando a sottrargli una cartellina contenente i dati dei pazienti. Ancora: la donna minaccia e insulta una paziente, nonché amica storica di Carlo, alludendo a una presunta relazione tra i due (inesistente) e offendendo finanche la figlia minorenne della donna, additandola come frutto dell’amore clandestino tra Carlo e la paziente (anche questa circostanza non vera). Sono gli episodi più eclatanti di una violenza proseguita per diverso tempo. Carlo riceve pure diverse telefonate da sconosciuti che sapevano sempre dove fosse, circostanza che lo spinge a ritenere che fosse seguito. Seguito su ‘commissione’ della sua ex. Sullo sfondo parole di un’aggressività e di un rancore violenti: «Ti ammazzo»; «Ti faccio sparare in testa dai miei amici»; «Tu non vuoi capire che non puoi fare niente, sono donna la legge protegge me…hai voglia di andare dai carabinieri che tutte le denunce che hai fatto, puoi pulirti il culo».

Brutti episodi che Carlo riesce a documentare anche grazie a delle registrazioni audio: «Queste registrazioni sono state la mia salvezza, altrimenti nessuno mi avrebbe creduto perché sono un uomo. Se non avessi avuto quelle registrazioni, oggi magari sarei io considerato un pazzo o sarei in galera perché magari accusato di cose non vere». Invece anche grazie a quelle registrazioni il giudice monocratico del Tribunale di Nola, con sentenza depositata a giugno, ha condannato la donna a due anni di reclusione, pena sospesa, per atti persecutori, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice per via del fatto di avere spesso negato di far incontrare padre e figli, lesioni. La donna, inoltre, è stata condannata a partecipare a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati.

«Speravo che da questo momento in poi qualcosa cambiasse in positivo per me, rispetto al rapporto coi miei due figli. Mia figlia non la vedo da anni, si rifiuta di incontrarmi. Con mio figlio c’era un po’ di rapporto ma dal giorno della sentenza anche lui non vuole più vedermi. Io posso solo immaginare il perché di questo loro allontanamento ma a questo punto mi chiedo: dov’è lo Stato? Lo Stato, la giustizia si ricordano di noi padri solo quando dobbiamo ottemperare al mantenimento, solo quando dobbiamo dare i soldi? E i nostri diritti di genitori dove sono? Perché lo Stato non li fa rispettare?».

mercoledì, 2 Agosto 2023 - 08:19
© RIPRODUZIONE RISERVATA