Napoli, imprenditore sotto usura: incontri con strozzini in una pescheria di Soccavo, titolare indagato. Le minacce al figlio

di Giorgio Pari

Incontri in una pescheria di via Epomeo con i presunti strozzini, poi denunciati da lui. A raccontarlo è l’imprenditore napoletano di Soccavo, considerato persona offesa nel procedimento sfociato in sei misure cautelari. Il titolare dell’attività è Gennaro Di Napoli, 54 anni, uno dei due indagati considerati mediatori con gli usurai, e raggiunti dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (l’altro è il 51enne Francesco Di Donato).

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«Ricordo che il Di Napoli Gennaro – ha messo a verbale l’uomo-, ha partecipato attivamente alla discussione tra me ed il Siano Nicola (indagato finito in carcere, ndr), appoggiando la tesi di quest’ultimo, ovvero che l’importo dei 9000.00 (novemila euro) che io reputavo saldato a prescindere dal “patto usuraio” che stabilimmo inizialmente che proprio per le attuali difficoltà chiedevo che mi venivano incontro, in quanto ritenevo di aver saldato». Secondo il denunciante, «lo stesso Di Napoli Gennaro, affermava che era giusta la pretesa avanzata dal Siano Nicola, di chiudere la questione, mediante il pagamento di 7000.00 (settemila euro), riformulati e riportati alla pretesa di 5000.00 (cinquemila euro) come da messaggistica WhatsApp esistente sul mio telefono cellulare».

Secondo il gip Maria Luisa Miranda il ruolo degli «intermediari Di Napoli e Di Donato, emerge dalle precise dichiarazioni» dell’imprenditore. Gli stessi sarebbero stati «a conoscenza dello stato di bisogno della persona offesa, non si sono limitati a fornire il nome dell’usuraio (…), ma hanno partecipato agli incontri fungendo anche da garanti, in tal modo consentendo che gli accordi fossero portati a termine». In particolare «quanto al Di Napoli» l’uomo «riferiva che alcuni incontri, anche per i rinnovi, sono avvenuti proprio presso la sua pescheria, mentre, quanto al Di Donato, non può non rilevarsi che lo stesso approfittava delle sue conoscenze collegate allo svolgimento della sua attività di ragioniere, in ragione della quale curava anche la contabilità» del denunciante.

LE ACCUSE DI ESTORSIONE

Non c’è solo l’usura nell’indagine dei carabinieri della compagnia di Bagnoli, coordinati dalla procura di Napoli. Spunta anche l’estorsione, con tanto di minacce, tra le accuse agli indagati. La contestazione riguarda due di loro, finiti in custodia cautelare in carcere. Carlo Capezzuto è accusato anche di usura. Giuseppe Barretta, invece, risponde solo di estorsione. Capezzuto avrebbe rivolto minacce all’imprenditore, ma anche al figlio di questo via Whatsapp («digli a tuo padre che gli vado a rompere le corna dove sta sta, a sto pezzo di infame a questa carogna»). Secondo le indagini, avrebbe ricevuto dall’uomo 74.380 euro, a fronte di 71.900 euro prestati.

A Barretta, viceversa, si addebita una raffica di minacce. Sarebbero pervenute «sia di persona – si legge nelle carte – che attraverso videochiamate e messaggi testuali e vocali». A originarle, anche qui la richiesta di somme da restituire. Ma non a lui. Il preteso creditore, del quale Barretta si sarebbe detto cugino, avrebbe avuto rapporti commerciali col denunciante. Tra i messaggi attribuiti, uno con la scritta «ma gente come te muore». «Per gli indagati Capezzuto Carlo e Barretta Giuseppe – che annoverano precedenti penali anche per fatti gravi ed allarmanti – compiere delitti contro il patrimonio o di altro genere – scrive il gip nel motivare le esigenze cautelari – è un’abitudine consolidata di vita».

Per gli inquirenti, Barretta avrebbe prospettato all’uomo, in caso di mancato pagamento, «gravi danni all’incolumità personale propria e della propria famiglia». Non solo. Sostenendo «di appartenere ad una famiglia malavitosa molto importante di Secondigliano», avrebbe evocato un intervento degli «amici siciliani». Un modo di rafforzare «la propria minaccia con riferimenti alla sua precedente detenzione». L’ordinanza cautelare ricorda un vecchio episodio. Il 15 dicembre 2012 Barretta fu ferito alla testa da un colpo d’arma da fuoco. In quel momento era «con due amici», uno dei quali, Vincenzo Priore, rimase ucciso nell’agguato. L’omicidio, secondo gli investigatori, sarebbe rientrato in un contesto di camorra. «In relazione – afferma il gip – alla vicinanza dei due gruppi che quel giorno si erano affrontati, sebbene a causa di un banale litigio, rispettivamente al clan Licciardi e al clan Lo Russo». Quanto a Capezzuto, il giudice ricorda l’arresto di Simone Cimarelli, compagno della figlia. Il giovane due anni fa fuo arrestato nell’operazione contro il clan Sorianiello del Rione Traiano, perché ritenuto organico al sottogruppo criminale del rione 99. Per Barretta e Capezzuto, le rispettive personalità avrebbero generato «timori» nell’imprenditore. Il quale però ha denunciato tutto.

martedì, 19 Dicembre 2023 - 22:43
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