Camorra, si pente Schiavone “Sandokan”: in cella, al 41bis, da 26 anni: che peso avranno i suoi racconti?

Francesco Schiavone "Sandokan"
di mg

Quanto e in che modo il suo pentimento potrà contribuire alla ricostruzione di pezzi di storia di camorra coperti ancora da mistero? E in che misura il suo pentimento sarà più “sostanzioso”, in termini di notizie e di effetti, rispetto alla collaborazione con la giustizia avviata da altri nomi importanti del panorama malavitoso campano, come, per citarne uno, Pasquale Scotti detto ‘o collier’?

Francesco Schiavone detto “Sandokan”, che da capo del clan dei Casalesi ne ha scritto la storia fino alla fine degli anni Novanta, ha avviato un dialogo con la magistratura diverse settimane fa (la notizia è stata riportata in anteprima dal quotidiano Cronache di Caserta). Un dialogo che sarà passato ai raggi x: la priorità della procura è evitare finte collaborazioni o “incidenti” come quelli avvenuti con Augusto La Torre, il cui pentimento fu ‘celebrato’ come un grande colpo ma si è poi rivelato un bluff. La Torre non è più pentito e la sua collaborazione è stata descritta dalla Dda come «ambigua» e motivata «dall’ansia di protagonismo e dall’insofferenza alle regole».

I primi mesi, dunque, saranno determinanti per decretare la genuinità della scelta e delle dichiarazioni di Schiavone. E, al tempo stesso, saranno determinanti per capire il peso che avrà il narrato di Schiavone su eventuali dinamiche attuali. Il boss dei Casalesi è detenuto da 26 anni. Non solo: da 26 anni è in regime di carcere duro, il che dovrebbe avere alzato un muro tra lui e i suoi referenti in libertà. Dovrebbe, perché la storia racconta che ci sono stati malavitosi di primo piano in grado di comunicare all’esterno nonostante le mille restrizioni del 41bis. Sarà, a questo punto, Schiavone a specificare se è riuscito a restare aggiornato sull’andamento degli affari illeciti e se in qualche modo è riuscito a influenzarli. Se invece, come ci si augura, Schiavone è rimasto davvero isolato, allora le sue verità non potranno che ancorarsi a un periodo di tempo assai lontano, dagli effetti sul presente tutti da valutare.

Schiavone è entrato in carcere l’11 luglio del 1998: si nascondeva in un bunker sotterraneo ricavato in un appartamento ubicato nel suo paese natale; prima che venisse fuori, ci vollero 13 ore di attività di demolizione per arrivare al nascondiglio segreto. Uscì con in braccio una delle figlie. Da quel momento in poi Schiavone è diventato un superdetenuto. Poi è arrivato il maxi processo Spartacus e la condanna all’ergastolo. Fine dei giochi. Fine della reggenza dei Casalesi ad opera della coppia Francesco Schiavone – Mario Iovine. Una reggenza guadagnata con un omicidio eccellente, quello di Antonio Bardellino, del quale Schiavone era il pupillo. Bardellino aveva messo in piedi una struttura di tipo confederativo per respingere l’espansione della Nuova camorra organizzata: l’obiettivo fu raggiunto e l’organizzazione riuscì anche a compiere un salto di qualità intessendo significativi rapporti con il mondo della politica locale e delle istituzioni. E a questo punto la vita della malavita organizzata fu segnata dalla rivolta di alcune famiglie contro Bardellino, che sarebbe stato ucciso nel 1988 Brasile ad opera di Mario Iovine (poi ammazzato). Il corpo di Bardellino non è mai stato trovato e negli anni è aleggiata la leggenda che vuole Bardellino morto in altre circostanze in un’epoca diversa da quel 1988. Schiavone potrebbe, ad esempio, fare luce su questo ‘mistero’. E potrebbe forse parlare del traffico illecito di rifiuti, business dei Casalesi che ha avvelenato anche l’hinterland a nord di Napoli. Due temi, due questioni già messe in agende dalla procura della Repubblica di Napoli.

L’aspettativa su Schiavone è alta, per ciò che il malavitoso ha rappresentato in un periodo storico ormai lontano. Ma c’è anche il rischio di caricare il pentimento di Schiavone, che ha sì una pregnante valenza simbolica, di una “forza” diversa da quella reale. Lo ha insegnato il caso di Pasquale Scotti, cutoliano di ferro e catturato dopo trentuno anni di latitanza: Scotti, che in Brasile si era rifatto una vita sia lavorativa che familiare, si è pentito, la notizia della sua collaborazione con la giustizia ha fatto il giro del mondo ma, a conti fatti, il contributo offerto è stato di portata minore rispetto alle attese. Solo il tempo potrà fornire risposte. Di certo c’è che la scelta di Schiavone segue quella di due figli, Nicola (in carcere dal 2010, pentito dal 2018) e di Walter (collaboratore di giustizia dal 2021). Bisognerà invece capire quale strada intraprenderà il resto della famiglia: Emanuele Libero, figlio di Schiavone, uscirà di prigione ad agosto prossimo, mentre è detenuto Carmine, altro figlio di “Sandokan”. A ciò si aggiunga che Schiavone è malato di tumore dal 2018 e di recente è stato trasferito nel carcere dell’Aquila per poter ricevere un’adeguata assistenza sanitaria alle sue condizioni.

venerdì, 29 Marzo 2024 - 15:23
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