Perizie choc, processi ingiusti e martiri Cucchi ucciso di botte, quanti assurdi errori in nove anni di indagini

di Manuela Galletta

La verità che per nove anni qualcuno, troppi, si è ostinato a non vedere è sempre stata lì. Sotto gli occhi di tutti. E’ sempre stata lì, fermata in quelle foto, che fanno male all’anima solo a guardarle, di Stefano Cucchi cadavere con il volto ridotto a una maschera livida. Livida per le botte. Eppure in questi nove anni qualcuno ha provato a raccontare un’altra storia. Contro ogni evidenza. Ci hanno detto che Stefano era morto perché caduto dalle scale, o perché era epilettico. Ci hanno detto pure che Stefano era morto di fame e di sete, perché in ospedale – dove ci era finito dopo il pestaggio che nessuno voleva ammettere – rifiutava acqua e cibo. Peggio ancora: nell’ottobre del 2014, a seguito dell’assoluzione (giusta) di tre agenti della Polizia penitenziaria che avevano preso Stefano in custodia dopo il processo per direttissima, il sindacato Sap di polizia che legittimamente difendeva l’operato dei ‘suoi’ perché erano innocenti si lasciò andare ad una nota stampa dal contenuto indecente, miope e corporativista: «In questo Paese bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze». E’ vero, Stefano Cucchi faceva uso di droghe. La notte che ha segnato l’inizio della sua fine il geometra 31enne fu fermato proprio per detenzione di stupefacenti. Ma Stefano non è morto per via di una siringa nel braccio. E cercare di sminuire la sua vita e provare a sottrarre importanza all’accertamento della verità sol perché Stefano non rigava dritto, è stata una delle condotte più odiose che hanno scandito la faticosa inchiesta che finalmente, in modo incontrovertibile, ha fatto emergere quella verità che Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, non ha mai smesso di gridare nella sua lunga battaglia solitaria. Alla notizia della confessione del carabiniere imputato, il Sap avrebbe fatto bene a chiedere scusa a Ilaria Cucchi e soprattutto avrebbe dovuto urlare la squarciagola la propria indignazione verso i carabinieri imputati che massacrarono Stefano: i militari che hanno ucciso Cucchi di botte non hanno solo spezzato una vita disonorando l’Arma (e tutti i carabinieri perbene) e lo Stato, ma sono quelli che hanno provato – inizialmente riuscendoci – a far cadere i sospetti e le colpe del pestaggio sugli agenti della Penitenziaria, costringendoli ad un processo ingiusto. Invece silenzio.
Ma il disprezzo mostrato verso Stefano non è stato il solo doloroso capitolo di questa brutta, bruttissima storia. C’è stato qualcosa di profondamente sbagliato nelle indagini che si sono sviluppate a partire dal 22 ottobre del 2009, giorno in cui il geometra romano è deceduto all’ospedale Pertini di Roma a distanza di una settimana dall’arresto. Il 4 ottobre del 2016 venne depositata al giudice per e indagini preliminari Elvira Tamburelli del Tribunale di Roma una perizia disposta dallo stesso gip per accertare le cause del decesso di Cucchi: quell’atto istruttorio che si componeva di 250 pagine venne ordinato in sede di incidente probatorio disposto nell’ambito del procedimento che vedeva indagati i cinque carabinieri che la sera dell’arresto ebbero in consegna Cucchi. Ebbene, il pool di medici individuato dal gip concluse che quella di Cucchi fu «una morte improvvisa ed inaspettata per epilessia in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti-epilettici». Per essere precisi: i periti sottolinearono che i dati raccolti «non consentono di formulare certezze sulla(e) causa(e) di morte», sottolineando quindi che l’ipotesi più plausibile fosse quella dell’epilessia. I consulenti del giudice, infatti, specificarono che le lesioni «non possono essere considerate correlativi causalmente o concausalmente, direttamente o indirettamente anche in modo non esclusivo, con l’evento morte». Ieri Francesco Introna (Istituto di Medicina legale del Policlinico di Bari), che di quel pool faceva parte, s’è affrettato a difendere il proprio lavoro in un’intervista rilasciata a Radionorba Notizie: «Credo – ha detto Introna – di essere stato il primo ad aver ammesso che Cucchi fu picchiato. Dall’analisi delle lesività che noi abbiamo riscontrato ovviamente era chiaramente indicativa che il soggetto aveva subito delle lesioni traumatiche, in particolare aveva delle ecchimosi periorbitali bilateralmente, aveva una ecchimosi frontale ma soprattutto aveva una frattura piccola, ma ce l’aveva, a livello di una vertebra che in precedenza era stata già fratturata». E’ vero, in quella perizia si parlò di lesioni. Ma il dato sul quale bisogna riflettere è che il pool di professionisti legò però la morte di Stefano non alle botte bensì all’epilessia.
Ma adesso, adesso che a parlare non sono più solo le foto di Cucchi cadavere sul letto d’obitorio; adesso che a raccontare di quel brutale pestaggio non è più solo la ex moglie di uno dei carabinieri imputato («Rideva nel dirmi che l’aveva picchiato», ha giurato anche in aula Anna Carino riportando le confidenze ricevute dal marito Raffaele D’Alessandro); adesso che le accuse ai carabinieri imputati non passano più solo attraverso le parole di un altro militare, Riccardo Casamassima, che seppur a distanza di anni ha trovato il coraggio di denunciare quanto i suoi colleghi hanno fatto; adesso che a gridare al brutale pestaggio non è più solo la sorella di Stefano, ma è uno dei carabinieri che in quella maledetta stanza c’era mentre Stefano veniva massacrato; beh, adesso viene da chiedersi come sia possibile che quella perizia abbia definito la morte di Cucchi (seppur non in termini di assoluta certezza) improvvisa e conseguenza dell’epilessia. E soprattutto viene da chiedersi con quale criterio un pubblico ministero abbia accollato ai medici dell’ospedale Pertini di Roma la responsabilità di non aver salvato Stefano, addebitando loro la colpa di averlo lasciato morire di fame e di sete, di aver tenuto un comportamento palesemente inattivo di fronte al rifiuto di Stefano di nutrirsi. Per inciso: i medici sono ancora sul banco degli imputati, chiamati ad affrontare il sesto processo rispetto all’accusa di omicidio colposo che gli è piovuta assurdamente addosso. Condannati in primo grado nel giugno 2013 per omicidio colposo, furono poi assolti in appello. Intervenne la Cassazione rimandando indietro il processo, con i nuovi giudici che confermarono quell’assoluzione. Poi, nuovo intervento della Cassazione e nuovo rinvio per quest’altro processo. Un calvario giudiziario inutile. Ma che dice tanto della miopia che ha scandito la ricerca della verità sulla morte di Stefano in questi nove lunghi anni. Una verità che solo Ilaria Cucchi non ha mai smesso di pretendere, sfidando gli insulti, la snobberia da parte di certe istituzioni, finanche il disprezzo di alcuni pezzi dello Stato. E adesso, adesso che si sa cosa è veramente accaduto a Stefano Cucchi la notte del suo arresto, occorrerebbe aprire un’altra inchiesta. Un’inchiesta sull’inchiesta.
(L’articolo è uno degli approfondimenti pubblicati nell’edizione di oggi del quotidiano digitale, un giornale vero e proprio dedicato alle analisi dei fatti, un giornale ‘tradizionale’ che però viaggia un binario moderno, quello digitale. Il quotidiano digitale – che completa e amplia l’informazione che tutti i giorni offriamo sul sito – si legge da cellulare, tablet e pc. E’ disponibile esclusivamente su abbonamento. Provalo per un mese, e se la nostra informazione ti piace scegli di continuare a seguirci. Per abbonarsi basta accedere alla sezione ‘Sfoglia il Quotidiano’)

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venerdì, 12 Ottobre 2018 - 14:28
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