Coronavirus, Conte annuncia un decreto che non c’è ancora e scatena di nuovo il caos. Ecco le aziende che restano aperte

giuseppe conte
Giuseppe Conte
di Bianca Bianco

C’è grande confusione sotto il cielo. Ma, contraddicendo la nota massima di Confucio, la situazione non è affatto eccellente. La confusione, provocata dalla scelta quantomeno azzardata del Governo di annunciare un decreto fondamentale, quello che chiude le fabbriche, prima di averlo pubblicato e senza fornire una bozza (si immagina per prevenire gli esodi di massa verificatisi quando furono ampiamente anticipati altri provvedimenti di urgenza), ha comunque dato la stura ad una ridda di illazioni e domande da parte di cittadini, e soprattutto lavoratori, sempre più confusi.

Quali saranno le imprese che chiuderanno, cosa si intende per aziende che forniscono beni e servizi non essenziali e strategici, chiuderanno i tabaccai? E Le edicole? Su questi due ultimi punti si può dare una certezza granitica: alimentari, farmacie, parafarmacie, edicolanti e tabaccai restano con la saracinesca alzata. Chiudono le fabbriche non strategiche e che don producono beni essenziali, chiudono i cantieri e chiudono gli studi professionali.

C’è da chiarire quindi quali sono le fabbriche che domani, lunedì, non apriranno in forza del nuovo decreto. Un pacchetto di disposizioni deciso ancora una volta dopo un Consiglio dei Ministri e spiegato a larghe linee da Conte in diretta Facebook, e senza il confronto con il Parlamento che non si riunisce ormai dall’11 marzo per l’emergenza Coronavirus.

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Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entrerà in vigore domani, lunedì 23 marzo, e lo resterà fino al 3 aprile, a meno di proroghe che, come sta avvenendo dallo scoppio dell’epidemia in Italia, procedono di pari passo con l’evoluzione del virus (che solo ieri ha fatto 793 morti).

Spieghiamo subito che per conoscere nel dettaglio quali fabbriche aprono e quali chiudono si dovrà attendere domani; possibili però anticipazioni, possibili perché si conoscono le tipologie di aziende che per il nostro ordinamento forniscono beni e servizi di prima necessità; quindi restano aperte le filiere legate al settore agroalimentare e zootecnico, comprese le fabbriche di bevande, con quelle di trasporti, logistica, imballaggi, e le altre che sono necessarie per non interrompere la catena della distribuzione dei prodotti alimentari freschi o alunga conservazione. Non è dunque necessario assaltare negozi e supermercati: non ci sarà penuria di alimenti, lo ha assicurato anche Conte, perché si impedirà lo stop degli anelli di questa catena imprenditoriale.

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Non si fermano poi i trasporti (su terra, ferroviario, aereo), i fornitori di energia e gas, le fabbriche che garantiscono il sostentamento energetico del Paese (per esempio raffinazione del petrolio), l’industria tessile (ma non dell’abbigliamento), la produzione di gomma, plastica e prodotti chimici; le aziende farmaceutiche e chi produce carta, attività legate all’idraulica, all’installazione di impianti elettrici, di riscaldamento o di condizionatori e la fabbricazione di forniture mediche e dentistiche. Dovrebbero restare in attività anche i taxi, ma anche le aziende che si occupano di rifiuti, gestione delle reti fognarie. Restano aperte banche, poste, assicurazioni, veterinari, call center, vigilanza privata, pulizia e lavaggio aree pubbliche. Assicurati l’assistenza sanitaria, l’assicurazione sociale obbligatoria ed i servizi legati alla Difesa. Una delle conseguenze, al di là del testo del decreto, sarà anche lo stop delle consegne da parte di Amazon che ha annunciato poche ore fa che proseguiranno solo per beni ritenuti essenziali.

Il blocco di quindici giorni, pesante per l’economia del Paese che secondo le stime ha già perso l’8% del Prodotto interno lordo, è stato accolto con soddisfazione a metà dalle forze politiche. «Bene le fabbriche chiuse ma abbiamo perso troppo tempo – ha commentato Matteo Salvini della Lega. Sulla stessa linea Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Lunedì ci sarà maggiore chiarezza, con l’elenco completo di tutte le filiere coinvolte. Dovrebbero essere una settantina  le voci coinvolte, ricordando che nel corso del videomessaggio Conte ha specificato che, al di fuori delle attività essenziali, si consentirà solo il lavoro in smart working.

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domenica, 22 Marzo 2020 - 08:55
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