Faraglioni di Capri violati e sfregiati per alimentare il mercato dei datteri di mare: 12 arresti, centinaia di indagati


Una delle immagini simbolo delle bellezze campane sottoposta alla devastazione di famelici cercatori di datteri. Le rocce dei due massi che spuntano dalle acque del Golfo di Napoli aggredite con martelli a percussione e fatte esplodere per dare linfa a un mercato, quello dei datteri di mare, che vanta una clientela esigente e danarosa. Poco importa che si distrugga un ecosistema già fragile e si lascino segni indelebili su un tesoro naturalistico inestimabile. Conta dare il prodotto al cliente. Un prodotto costoso, duecento euro al chilogrammo.

Quanto accade nel Golfo partenopeo, la pesca di frodo dei datteri di mare che devasta l’ambiente marino, non è una novità. Da almeno trenta anni si scava e causano esplosioni per ricavare la specie protetta e metterla sulle tavole di privati e ristoranti. Responsabili, secondo la Procura e la Guardia di Finanza di Napoli che ieri ha notificato misure cautelari a  19 persone, due organizzazioni. Le persone indagate sono accusate di associazione a delinquere aggravata finalizzata alla consumazione di delitti ambientali, inquinamento e disastro ambientale, danneggiamento e ricettazione.

Dalle attività è emerso che le operazioni illegali di prelievo del dattero dai Faraglioni dell’isola azzurra hanno provocato una desertificazione dell’ecosistema (flora e fauna) sul 48% delle pareti subacquee dei famosissimi simboli di Capri, prima ricoperte di vita, e ora desertificate. Gli indagati sono complessivamente un centinaio e fanno tutti parte di due associazioni, una napoletana, l’altra stabiese-caprese, alle quali il Reparto Operativo Aeronavale dei finanzieri hanno sequestrato tre locali commerciali, tra Napoli e Castellammare di Stabia. Lì i datteri venivano nascosti prima dell’immissione in commercio. Sequestrati anche una somma di denaro ritenuta profitto della vendita, due natanti utilizzati per recarsi sui punti di prelievo della specie protetta e tutta la strumentazione usata per estrarre il “dattero” dalle rocce calcaree.

L’estrazione avveniva, è stato scoperto, anche nelle acque torbide del Porto di Napoli. A coordinare le indagini, particolarmente complesse, sono stati i magistrati della V sezione della Procura di Napoli, in sinergia con la Procura Generale presso la Corte di Appello di Napoli. Nel corso delle intercettazioni (i colloqui erano in codice) durate qualche mese, è emerso che le attività di estrazione sono andate avanti anche durante il lockdown e che le due associazioni erano riuscite, in quel breve lasso di tempo, a estrarre ben 8 quintali di molluschi venduti tra 100 e 200 euro al chilogrammo sul mercato nero dei “datteri di mare”. L’inchiesta, per certi versi pionieristica, è stata integralmente accolta dal gip Egle Pilla, considerato il contributo fornito da esperti di caratura come il professore Giovanni Fulvio Russo, presidente della Società Italiana di Biologia Marina (SIBM) e il professore Marco Sacchi, dell’istituto Scienze Marine del CNR. Una attività nella quale è confluito e adoperato tutto l’impianto accusatorio elaborato di recente in materia di delitti ambientali, che si poggia, tra l’altro, sulle convenzioni internazionali dell’UE e delle Nazioni Unite tese a tutelare l’ecosistema e le specie marine.

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mercoledì, 24 Marzo 2021 - 09:11
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