Ok alla nuova prescrizione: Draghi buca le barricate del M5s e manda in soffitta la riforma Bonafede. Ecco le novità

Mario Draghi

Dopo una giornata burrascosa, manifestazione ultima delle fibrillazioni su un tema caldo nella maggioranza come la riforma del processo penale, il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera agli emendamenti del ministro della Giustizia sulla prescrizione. Nonostante le barricate erette dal Movimento Cinque Stelle che ha a più riprese fatto intendere di potere arrivare all’astensione se non addirittura all’uscita dalla maggioranza, alla fine la riforma passa all’unanimità. Decisivi gli interventi del Guardasigilli Marta Cartabia e del premier Mario Draghi. La riforma passata in CdM prevede dunque che la prescrizione per i reati contro la pubblica amministrazione (corruzione, concussione) scatti non dopo due ma dopo 3 anni in appello e dopo 18 mesi (e non 12 come nella prima versione) in Cassazione. Draghi, che su questa riforma ha deciso di intervenire personalmente conscio delle attenzioni della Commissione europea e della necessità di attuare la riforma in vista del Pnrr, ha ‘concesso’ ai Cinque Stelle la previsione di possibili futuri accorgimenti tecnici ribandendo però che nessuno deve ritenere di avere «mani libere in Parlamento». Insomma, la riforma è questa e guai a stravolgerla. Anche perché non mettere in pratica quanto deciso vorrebbe dire perdere i soldi del Recovery Fund.

Cosa prevede dunque il testo che ha ottenuto il disco verde del Consiglio dei Ministri? Di fondo, c’è la necessità improcrastinabile di velocizzare i tempi della giustizia penale agli obiettivi del Recovery e agli standard europei; punto focale è lo stop alla prescrizione. Per i Cinque Stelle andava esteso a tutti i gradi di giudizio, con l’intervento di Cartabia sono stati inclusi i reati contro la pubblica amministrazione e le condizioni di improcedibilità per secondo e terzo grado di giudizio in caso di sforamenti di determinate tempistiche. Dunque il ministro della Giustizia propone di bloccare la prescrizione dopo il primo grado, sia in caso di assoluzione che di condanna; per l’appello, scatta il termine massimo di due anni (tre solo per i reati gravi), oltre il quale c’è la improcedibilità. Dodici mesi invece il termine di prescrizione in Cassazione con possibile proroga di sei mesi per i reati gravi. Dunque nel secondo e terzo grado di giudizio, oltre quei tempi stabiliti non si estinguerebbe il reato ma si sospenderebbe il processo, di fatto bloccato.Per i reati imprescrittibili – come quelli punibili con l’ergastolo – non sarebbero posti limiti alla durata dei processi. Per quanto concerne poi i reati come corruzione e concussione, ovvero quelli contro la Pubblica  amministrazione.

Queste le novità in tema di prescrizione (gli altri punti della riforma li tratteremo in un articolo distinto), arrivate al culmine di una giornata politicamente così difficile che Mario Draghi in persona ha dovuto ‘vestirsi di carattere’ . Il nodo erano i Cinque Stelle, giunti a minacciare l’uscita dal Governo: una rivolta che sarà stata considerata inaudita dal premier che sa che su questa e altre riforme l’Italia si gioca il recovery e la credibilità in Europa. Alla fine si è trovato il compromesso e i pentastellati si sono accodati al resto della maggioranza ottenendo il contentino della possibilità di interventi tecnici che non si potranno tradurre in nuove faide in Parlamento però, anche se qualcuno già presagisce che il passaggio alla Camera del testo non sarà indolore.

Per i grillini quella di ieri è stata l’ennesima batosta in un periodo di profonda crisi di identità; uno dei loro baluardi, la riforma Bonafede della prescrizione approvata dal Governo Conte, difatti affonda. La riunione in conclave precedente la seduta del Consiglio dei Ministri (convocato da Draghi in barba alle richieste di rinvio di M5S), è durata 4 ore alla presenza anche dei big e dello stesso Bonafede. L’ala “contiana” è stata descritta come la più agguerrita rispetto a un testo che, è l’accusa, affievolirebbe il contrasto in particolare a reati come la corruzione. Dalle fila parlamentari sono partite accuse ai ministri, che fin dall’inizio si sono mostrati più aperti a una mediazione. Non basta quanto già ottenuto, come evitare i limiti alle possibilità del pm di fare appello: la proposta dell’ala dura di fede contiana è di astenersi in Consiglio dei ministri. Per essere poi liberi in Parlamento di non votare o votare contro. L’alternativa sarebbe spaccarsi: la linea dell’astensione passa. Ma qui si è aperta una seconda partita, a Palazzo Chigi, dove per tutto il giorno Cartabia ha lavorato a stretto contatto con Draghi. Il premier e la ministra hanno incontrato Di Maio, Patuanelli, D’Incà, Dadone. Il ministro della Giustizia ha spiegato che molte proposte sono state accolte.

Ed ecco come Draghi è andato incontro al M5s, senza stravolgere il testo della riforma Cartabia, dunque. Sulla prescrizione la riforma Bonafede resta salva in primo grado (la prescrizione si ferma per tutti dopo la sentenza), poi in appello e Cassazione scattano i termini processuali (due anni e un anno) dopo i quali il processo si chiude per improcedibilità. Per i reati più gravi quei termini possono salire rispettivamente a tre anni e diciotto mesi. Ma al M5s non è bastato. Bisogna mettere per iscritto – chiedono – che tra quei reati più gravi ci siano anche quelli contro la Pa. La richiesta è passata: i pentastellati sono quindi tornati a riunirsi, sapendo che la mediazione scontenterà molti, ma a questo punto non possono più dir di no.

Tutto questo arrancare, mediare, spendersi per zittire i Cinque Stelle ha fatto irritare il centrodestra di Governo. Renato Brunetta per Fi ha chiesto una sospensione: le carte in tavola sono state cambiate all’ultimo, si va in una direzione poco gradita agli azzurri. Cartabia però ha rassicurato che non ci sono automatismi per gli allungamenti dei tempi di appello e Cassazione per i reati contro la Pa: il processo può essere prolungato massimo di un anno – ma il termine potrebbe ridursi – per particolare complessità del procedimento, dovuta al numero delle parti o delle imputazioni. «Sostenete questa riforma?», ha domandato Draghi. Alla fine il sì dei ministri è unanime, sotto forma di silenzio assenso.

 La Lega (unico partito a smarcarsi finora in Cdm con l’astensione sul decreto Covid) rivendica di aver mediato per l’intesa e di aver scongiurato che scomparisse il carcere, grazie ai riti alternativi, per reati gravi come associazione per delinquere e corruzione. Italia dei Valori sottolinea come le modifiche fatte per accontentare i Cinque stelle non cambino la sostanza («La riforma Bonafede è in soffitta», ha detto Enrico Costa, di Azione), ma siano state fatte solo a favore di telecamere: in Parlamento – dicono i renziani – si lavorerà per limare il testo. Il Pd ricorda a tutti quanto la riforma della giustizia sia essenziale per ottenere i fondi del Recovery plan. E per quella credibilità del Paese su cui Draghi punta con forza. Alla Camera, dove il testo è atteso in Aula il 23 luglio, si aprirà una nuova partita. Ai ministri (Cinque stelle su tutti) il compito di far rispettare l’impegno alla “lealtà” e non provare a stravolgere il testo.

Tutto bene, quindi? Niente affatto. Nonostante la mediazione, i Cinque Stelle lasciano in serata trapelare aria di aperta insoddisfazione. Non sembra essere bastata la mediazione trovata in Consiglio dei ministri all’ala cosiddetta “contiana” del M5S. E anche Giuseppe Conte, a quanto si apprende da fonti parlamentari riportate da Ansa, ha mantenuto un filo diretto con gli esponenti pentastellati a lui vicini per essere aggiornato sugli sviluppi della faticosa mediazione raggiunta a Palazzo Chigi. Mediazione che, spiegano diverse fonti del Movimento, continua a non piacere ad una parte dei gruppi parlamentari. E a uscire allo scoperto, a tarda sera, è il vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo che, su Fb, è tranchant: «Smantellata una parte importante del decreto dignità, sfasciata la riforma Bonafede sulla prescrizione, prorogata la norma salva-Mediaset senza colpo ferire. Questa, in soldoni, è la sintesi dell’azione della maggioranza e dell’esecutivo delle ultime 24 ore». Castaldo interpreta un “sentiment” diffuso in una parte dei parlamentari: quello dell’insofferenza nei confronti di une governo dove, complice il caos interno, il M5S non ha voce. Ed è da questa fetta del Movimento che cresce il pressing per assegnare la leadership a Conte. Ma non tutti la pensano così. C’è chi, tra i vertici dei Cinque Stelle, predica calma puntando il dito contro chi, all’interno del Movimento, lavora per spaccare. Frutto, soprattutto, del travaglio interno destinato a non finire se non quando si troverà una mediazione tra Beppe Grillo e l’ex premier. Fino ad allora sarà, soprattutto, una guerra di posizioni. E il rischio di una scissione, sull’onda delle polemiche per dossier delicati come quello della giustizia, è tutt’altro che scontato.

venerdì, 9 Luglio 2021 - 08:31
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