«Giustizia, ora tutti i politici ne parlano ma solo per cercare voti. Ma a chi interessa davvero il tema?» | L’intervento

Barbuto Salvatore avv
L'avvocato Salvatore Barbuto
di Salvatore Barbuto, avvocato*

A chi interessa la Giustizia?

La domanda, in questo agosto all’insegna della campagna elettorale, è quasi retorica.

All’inizio vi è stato il silenzio assoluto, tanto che in molti si sono domandati se fossero mai esistite veramente tutte le polemiche sulla riforma della Giustizia e su quella dell’Ordinamento Giudiziario.

In un attimo, infatti, dall’agenda di tutte le forze politiche, da tutti i programmi elettorali sembrava scomparsa la parola Giustizia.

E il peggio doveva ancora venire.

Ad un certo punto, anche per merito dell’accorato appello rivolto dalla Giunta dei penalisti italiani ai candidati e alle forze politiche perché assumessero impegni programmatici, il tema è tornato di una qualche attualità, ma, piuttosto che un dibattito, si è scatenata la solita bagarre.

Il clima è spesso quello da stadio e le opposte fazioni contrappongono argomenti, talvolta convincenti, talvolta meno, ma quasi sempre allontanandosi dai principi che dovrebbero animare il confronto.

Il Governo che ha voluto la riforma Cartabia ha avuto il merito di imprimere una svolta, certamente assumendosi responsabilità e assicurando risultati in termini di maggiore efficienza, ma sempre all’insegna di compromessi politici, assai poco compatibili con i valori in gioco.

Sulla prescrizione, ad esempio, se l’obiettivo raggiunto è quello di mettersi alle spalle la sciagurata riforma Bonafede e l’idea di un processo senza fine, è altrettanto vero che il regime dell’improcedibilità ha scontentato tutti, con risvolti poco accettabili in termini di equità e parità di trattamento.

Sarebbe bene, invece, che tutti, abbandonando per un attimo calcoli elettorali e interessi di bottega, si impegnassero per il ripristino della “vecchia” prescrizione, per poi dedicarsi a risolvere i problemi della durata irragionevole del processo, invece che farla ricadere sugli imputati.

Non molto diversa la situazione per quel che riguarda il carcere e l’ordinamento penitenziario.

In tempo di campagna elettorale non vi è spazio per discorsi sull’effettività dei precetti costituzionali, dalla necessità di garantire la rieducazione, alla tutela delle condizioni di vita dei detenuti. Nei giorni in cui si continuano a contare suicidi in carcere (54 solamente dall’inizio del 2022) l’unica preoccupazione delle forze politiche è, a quanto è dato di vedere, quello di promettere la costruzione di istituti di pena nuovi, si badi bene, ma non diversi, agitando la bandiera della pena “certa”, come se attualmente le pene non fossero certe e come se, nell’immaginario collettivo, certezza fosse sinonimo di durezza e intransigenza.

Ancora, sul tema dell’inappellabilità delle sentenze di assoluzione. 

La questione può apparire troppo tecnica, ma solo ad un approccio superficiale e, ciò nonostante, ha animato un dibattito ampio anche sui media e social, dopo il botta e risposta tra il Presidente dei Penalisti, Caiazza, e quello dell’ANM, Santalucia.

Da un lato i sostenitori di una riforma che vorrebbe le sentenze di assoluzione censurabili solo per vizi di legittimità in Cassazione, dall’altro la lunga schiera di coloro che ritengono normale che un’assoluzione possa essere riformata in Appello.

La questione è certamente complessa.

Chi ritiene che il sistema vada bene, ricorda che la legge Pecorella, che aveva introdotto l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione, fu travolta dalla Corte Costituzionale.

Tali argomenti sono stati autorevolmente contrastati e superati da una serie di osservazioni assai più in linea con l’attuale assetto Costituzionale e sovranazionale.

Innanzi tutto, la proposta di un sistema che preveda l’inappellabilità è stata di recente formulata dalla Commissione Ministeriale presieduta da Giorgio Lattanzi e, fosse solo per competenza ed esperienza di quest’ultimo, il consiglio sarebbe quello di affrontare la questione con meno pregiudizi ideologici.

Le questioni giuridiche a favore di una riforma in tal senso, assai più coerenti con un modello accusatorio, quale quello a cui aspiriamo, e con la regola della condanna solo in caso di superamento del ragionevole dubbio, sono state affrontate e sviscerate dalle voci più autorevoli della dottrina, oltre che sostenute con forza dall’avvocatura.

Su tutte, merita di essere ricordata la scarsa compatibilità del nostro sistema con precetti di diritto sovranazionale vincolanti: l’articolo 2 del protocollo 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e l’articolo 14 paragrafo 5 del Patto internazionale sui diritti civili e politici prevedono che il condannato abbia diritto a che l’accertamento di colpevolezza sia esaminato da un tribunale superiore o di seconda istanza, e tale non può essere il giudizio assicurato dalla Suprema Corte.

Quello che sorprende, tuttavia, non è neppure questo.

Se le forze politiche possono decidere di sostenere questa o quella tesi, in ragione di un calcolo politico e di una maggiore convenienza elettorale, è sconvolgente che l’elettore, anche ove schierato, non abbia la sensibilità di sentire propri alcuni precetti basilari di uno stato di diritto.

Al cittadino, tradizionalmente, interessa se una persona imputata per un reato possa essere ragionevolmente definito colpevole, al di là di qualsiasi esasperazione tecnicistica.

Come è possibile, dunque, affermare la colpevolezza di una persona, con tutto quello che comporta e ne consegue, laddove un Giudice dica una cosa e un altro ne affermi il contrario?

Come ci si può accontentare di una decisione di condanna, inappellabile nel merito, laddove un primo Giudice, che si è confrontato con l’istruttoria dibattimentale, abbia deciso di assolvere, e invece quello dell’Appello, magari a distanza di anni e solo da un riscontro cartolare, abbia idee diverse?

Non si finisce in tal modo per sacrificare il più importante dei valori in gioco, la vita e la libertà di un uomo, lasciandola in balia di decisioni, incerte per definizione?

Ecco, su questo tema si misura la maggior distanza tra l’approccio culturale e valoriale che dovrebbe esserci sui temi della Giustizia e quello che in concreto accade, purtroppo anche da parte dei cittadini, molti dei quali si lasciano condizionare da pregiudizi di varia natura.

Forse così si riesce anche rispondere, amaramente, alla domanda iniziale: a chi interessa veramente la Giustizia? Di questi tempi, quasi a nessuno.

*avvocato del Foro di Torre Annunziata,
segretario della Camera penale di Torre Annunziata

sabato, 27 Agosto 2022 - 09:52
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