Omicidio Ugo Russo, il padre parla dopo la chiusura indagini: «Il carabiniere che sparò dovrebbe stare in galera»

Russo Ugo murale e padre
Enzo Russo davanti al murale dedicato al figlio Ugo Russo
di Gianmaria Roberti

Lo Stato toglie, lo Stato prova a ridare. Ma il conto sarà sempre in rosso, per chi reclama «verità e giustizia», se ha perso un figlio di 15 anni. Enzo Russo è il padre di Ugo, ucciso da un carabiniere fuori servizio, nella notte del primo marzo 2020. Il ragazzo e un complice tentavano di rapinare un Rolex al militare, a Napoli, nel borgo di Santa Lucia. Erano armati di una pistola giocattolo, ma priva del tappo rosso. Per il carabiniere C.B., 23 anni all’epoca dei fatti, si sono chiuse le indagini. L’ipotesi della Procura di Napoli – che esclude la legittima difesa – è di omicidio volontario aggravato. Due giorni fa la notifica dell’avviso all’indagato. «È la notizia che ci aspettavamo – racconta il padre di Ugo – abbiamo sempre creduto nella giustizia e nella magistratura, e dopo quasi tre anni c’è qualcosa che noi pensavamo dal primo giorno. Mio figlio aveva sei fori di proiettile addosso».

Ugo Russo padre
Il padre di Ugo Russo

L’uomo parla in piazza Parrocchiella, ai Quartieri Spagnoli, sotto al murale dedicato al figlio. L’opera è la testimonianza di un altro braccio di ferro con lo Stato. Il Comune di Napoli voleva rimuoverla, la famiglia del giovane ha fatto ricorso al Tar: respinto. Ma il Consiglio di Stato ha sospeso l’efficacia della sentenza. Ora si è in attesa dell’appello. «All’inizio ci hanno attaccato e siamo stati zitti, la nostra pazienza – dice Enzo Russo – ha portato frutti. Fin dal primo giorno ho detto che mio figlio ha sbagliato ma non doveva pagare con la morte. Doveva essere messo a confronto col suo errore, come tutti i ragazzi che sbagliano. A 15 anni non sapeva nemmeno lui cosa voleva dalla vita». Perché «se qualcuno pensa di poter ammazzare un altro e passarla liscia, non può essere così».

Enzo Russo discorre con calma. Soltanto una volta, pare incrinarsi la sbandierata fiducia nella giustizia. «Una persona che ammazza un’altra persona deve stare in carcere – sbotta -. Io o mio figlio se avessimo fatto una cosa del genere già saremmo stati in carcere. Io non chiedo le scuse di qualcuno. Chiedo solo a grande voce, che chi ha un ruolo deve ricoprirlo con forza». Il carabiniere indagato, originario di Arezzo, è stato trasferito in una città del nord. «A noi non interessa, va chiesto – sottolinea il padre di Ugo Russo – a chi lo ha rimesso in servizio. È un problema dello Stato, se pensa che un ragazzo che ha ammazzato una persona deve essere rimesso di nuovo a lavoro e lo riarmano, è un problema loro. La nostra strada è sempre quella, noi chiediamo la verità e la giustizia per mio figlio. Tutto il resto sarà un tribunale a deciderlo».

Verità e giustizia è anche il nome di un comitato, sorto per sostenere le ragioni dei familiari del 15enne. «A 15 anni – afferma l’attivista Alfonso De Vito – Ugo aveva ancora la possibilità di scegliersi la vita e noi vogliamo ringraziare gli intellettuali che, in qualche modo, hanno sostenuto le ragioni di questa resistenza rispetto a una campagna di criminalizzazione in cui il processo sembrava dovesse scomparire. Speriamo invece che arrivi presto, ricordando che una parte è stata già svolta con l’incidente probatorio». Adesso, tocca alla Procura tirare le somme.

giovedì, 3 Novembre 2022 - 17:36
© RIPRODUZIONE RISERVATA