Scontri tra tifosi sull’A1, la vedova Raciti e la madre di Ciro Esposito: «Le morti dei nostri cari non hanno insegnato nulla»

grasso marisa e leardi antonella
Da sinistra Marisa Grasso, vedova di Filippo Raciti, e Antonella Leardi, madre di Ciro Esposito
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Sono parenti di vittime del tifo violento e criminale, e le immagini degli scontri sull’A1 – con la guerriglia di ieri ultrà fra napoletani e romanisti – sono sale su ferite mai rimarginate. Di più: restituiscono a loro, le famiglie, il senso di un sacrificio inutile. Perché ad anni di distanza, in Italia la violenza ultrà non è stata estirpata. «Forse la morte di mio figlio non ha insegnato nulla, forse – dice Antonella Leardi – le passerelle di qualcuno si sono perse nell’oblio. Io continuerò a credere che il calcio possa cambiare fin quando il buon Dio mi darà forza per farlo». Lei è la madre di Ciro Esposito, tifoso napoletano morto in ospedale, dopo i colpi di pistola esplosi a Roma dall’ultrà romanista Daniele De Santis, prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli del maggio 2014.

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«Condanno come sempre faccio da anni in ogni luogo in cui parlo – ribadisce la Leardi -, tutto ciò che è violenza nel calcio e che per me e tutta l’ Associazione che rappresento in memoria di mio figlio, deve essere aggregazione, sportività e rispetto e non altro». La mamma di Ciro lancia una stoccata: «Devo anche constatare però che nonostante i miei appelli c’è una parte di queste Istituzioni che continuano ad essere sorde di fronte ad un fenomeno che sembra sopito ma a cui basta una scintilla per riesplodere e l’episodio ne è la conferma».

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Anche per Marisa Grasso, vedova di Filippo Raciti, «Questi segnali di violenza non mi sono nuovi, c’erano già prima della morte di mio marito». Raciti, ispettore di Polizia, morì in servizio, durante gli incidenti scatenati da una frangia di ultras catanesi contro le forze dell’ordine, intervenute per sedare i disordini alla fine di un Catania-Palermo di 16 anni fa. Per la sua morte sono stati condannati due ultrà etnei, con l’accusa di omicidio preteritenzionale.

«Dopo la tragedia, il 2 febbraio 2007 – ricorda Marisa Grasso a Radio Anch’io Sport su Rai Radio 1 -, lo Stato mi ha promesso che non sarebbero più accaduti questi fatti. Il 2007 lo chiamarono l’anno zero, doveva essere l’anno di cambiamento. Ci sono stati momenti bui e pesanti con la pandemia e ora, subito dopo Natale, rivedere queste scene mi ha hanno fatto molto male, mi hanno fatto rivivere il mio dolore, la mia sofferenza. E pensare che altre famiglie ieri si potevano ritrovare in un attimo a vivere la tragedia che ho vissuto: è inaccettabile vivere queste situazioni».

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La vedova Raciti racconta: «Io mio marito lo vedevo rientrare a volte da un servizio di ordine pubblico ferito e amareggiato, era rassegnato che le cose non sarebbero cambiate. L’unica cosa che ricordo che mi disse è che le cose sarebbero cambiate solamente con un morto, poi purtroppo senza saperlo il morto era lui». Dopo gli incidenti sull’A1, Grasso chiede «risposte immediate» al governo. E invita a vincere ogni senso di rassegnazione. «Lo avverto anch’io, ma – spiega – non deve accadere, non possiamo ricadere nella rassegnazione, fa comodo far passar questi segnali e non dare risposte, non è giusto per chi ha perso la vita. Ieri ci sono stati segnali di guerriglia urbana, di terrorismo, di violenza inaccettabili in uno Stato civile. Parte della tifoseria sana ormai non va più allo stadio, ne conosco parecchi qua a Catania. Sicuramente quelli che ieri erano in autostrada non si possono definire tifosi, sono dei delinquenti e dei violenti».

lunedì, 9 Gennaio 2023 - 15:01
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