Polveriera Sudan, il grande esodo: italiani rimpatriati, ma c’è chi ha deciso di restare. Nuova emergenza di migranti in fuga


Tutti in fuga dal Sudan dopo l’esplosione del conflitto tra l’esercito e forze paramilitari. Gli italiani sono stati rimpatriati, molti altri Stati stanno avviando le procedure di evacuazione dei loro cittadini, i Paesi Europei stanno chiudendo le ambasciate e molti abitanti del Sudan hanno iniziato il grande esodo. Negli ultimi due giorni, secondo fonti umanitarie citate da “Al Jazeera”, circa 10 mila rifugiati sono entrati in Sud Sudan dal Sudan: circa 6.500 hanno attraversato il confine sabato scorso e altri 3 mila domenica nella contea di Renk. Il comandante dell’esercito a Renk, Dau Aturjong, ha riferito che tre quarti degli arrivi sono sud sudanesi mentre il resto sono sudanesi, eritrei, kenioti, ugandesi e somali. Il Sudan ospita 800 mila rifugiati sud sudanesi che sono fuggiti da conflitti di lunga data nel loro Paese, che ha ottenuto l’indipendenza dal suo vicino settentrionale nel 2011.

Gli scontri sono cominciati lo scorso 15 aprile. Da un lato ci sono le Rsf (le milizie guidate da Mohamed Hamdan Dagalo, vicepresidente filorusso del Consiglio Sovrano) e dall’altro c’è l’esercito governativo, sotto il presidente Abdel-Fattah al-Burhan: la rivalità politica tra i due generali ai vertici del Consiglio sovrano che – al momento – guida il Paese, è sfociata in scontri e violenze, prima concentrati solo nella capitale Khartoum e poi estesi anche in altre città. Le due fazioni stanno portando avanti una prova di forza fatta di incursioni, sparatorie, raid aerei, mobilitazioni di blindati e annunci contrastanti.

A oggi, fa sapere il Ministero della Sanità sudanese, sarebbero 600 le persone morte nei disordini, a cui si aggiungono 3500 feriti.

Italia e Francia sono stati i paesi più veloci a riportare a casa i propri cittadini. Non solo: l’Italia è in prima linea nelle operazioni di evacuazione anche dei cittadini di altri paesi europei. Questa sera all’aeroporto di Ciampino sono «83 italiani e 23 cittadini stranieri» – tra europei ed extracomunitari – a bordo di due velivoli separati. Lo ha chiarito il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha lodato la “cooperazione” tra i diversi Paesi per portare a termine l’operazione di evacuazione e ha notato come l’alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell abbia “ringraziato” l’Italia per il ruolo giocato nel mettere in salvo persone di altri Paesi. «L’operazione è stata pianificato perfettamente, siamo felici di essere rientrati. Il coordinamento ai vari livelli è stato perfetto, sono stato in contatto ogni giorno col ministro Tajani, ora siamo un po’ stanchi», ha detto l’ambasciatore italiano in Sudan Michele Tommasi appena sceso dall’aereo a Ciampino


Forte preoccupazione, invece, per l’Inghilterra: più di 4mila cittadini britannici sarebbero ancora bloccati in Sudan. La stima è stata fornita dalla deputata conservatrice Alicia Kearns, presidente della commissione ristretta esteri della Camera dei Comuni britannica.

Una cinquantina di italiani, invece, ha scelto di restare per proseguire la propria missione tra i ragazzi delle scuole e chi lo fa per non abbandonare i propri pazienti in ospedale. Andrea Comino, missionario salesiano, ha deciso di non rientrare: «Una bomba è caduta nel nostro laboratorio di Khartoum, per fortuna non c’era nessuno. I combattimenti continuano in diverse zone della città. Tutte le scuole sono chiuse e la popolazione è invitata a non uscire, ogni attività pubblica e privata è sospesa», ha spiegato il prete parlando con i padri di Don Bosco, che nella regione sono impegnati negli insegnamenti in scuole tecniche e fanno formazione con i giovani affinché possano imparare il mestiere di carpentiere, meccanico o elettricista. Nel caos della stessa città sono rimasti altri 38 italiani, tra medici e infermieri, che lavorano nell’equipe di Franco Masini, 72 anni, coordinatore medico per i volontari di Emergency del centro Salam di Khartoum, il più grande ospedale di cardiochirurgia dell’Africa. «È il momento più difficile finora, stiamo tentando di riorganizzarci e di mettere in sicurezza tutti i nostri novanta pazienti cardiopatici che in media hanno vent’anni e tra cui ci sono diversi bambini. Di sicuro dimetteremo quelli stabili. Non possiamo fare interventi in questa fase: dopo le operazioni non potremmo metterli in terapia intensiva e in una situazione di guerra, dove le cose cambiano così rapidamente, fare questo non sarebbe logico – dice Masini, che vive con i suoi collaboratori in un compound attaccato all’ospedale – Nelle prossime ore dovremo prendere decisioni importanti in base all’evolversi degli scenari. Una sola cosa adesso è certa: non lasceremo morire i nostri i pazienti».

lunedì, 24 Aprile 2023 - 21:16
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