Veto del gip ai colloqui indagati-difensori, altolà della Camera penale di Napoli: «La difesa spazio sacro, norma illiberale»

di maga

Quelle parole non le hanno mandate giù e non poteva essere diversamente. Nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di esponenti del clan Ferrara-Cacciapuoti sfociata, la scorsa settimana, in 19 arresti, il giudice per le indagini preliminari Marco Giordano del Tribunale di Napoli vietava i colloqui tra indagati e difensore prima dell’interrogatorio di garanzia paventando «il pericolo di precostituzione di strategie difensive tese a ostacolare, travalicando il legittimo esercizio del diritto di difesa, il regolare corso della giustizia e a ritardare o impedire l’individuazione degli altri sodali non ancora identificati in sede investigativa». E, per essere più chiari, il gip esplicitava che «il riferimento alle strategie difensive di possibile effetto extraproecssuale va, nello specifico, posto in relazione alla possibilità di veicolare tra i coindagati, proprio attraverso preventivi colloqui difensivi precedenti le contestazioni specifiche delle accuse formulabili negli interrogatori di garanzia, dinamiche di autotutela degli interessi del gruppo mafioso di riferimento».

Gli avvocati non potevano non sentirsi chiamati in causa. Così, dopo una lunga riflessione, la Camera penale di Napoli guidata dall’avvocato Marco Campora ha preso posizione su quei passaggi, bacchettando il gip ma al tempo stesso cogliendo l’occasione per riaccendere la discussione e i riflettori su una norma – che ha consentito al gip di congelare i colloqui indagato-difensore – rispetto alla quale i penalisti nutrono da tempo forti perplessità. «E’ una norma dal sapore illiberale e suscettibile, per la sua vaghezza, di prestarsi ad usi più o meno disinvolti potesse dar luogo ad una difesa limitata e compressa nei procedimenti per reati associativi», è la denuncia della Camera penale partenopea. Che insiste: l’uso non rigoroso del terzo comma dell’articolo 104 del codice penale costituisce «una lesione profonda ed irrecuperabile dello stato di diritto», un attacco alla difesa, che rischia di diventare «minorata» e che invece «è uno spazio sacro ed incomprimibile e non può, come più volte sottolineato dalla Corte Costituzionale, cedere il passo di fronte ad interessi, pur rilevanti, ad essa astrattamente contrapposti».

Partiamo dalle osservazioni del gip Giordano che hanno fornito l’assist per la discussione. «L’estensore dell’ordinanza manifesta una immotivata e del tutto ingiustificata sfiducia nei confronti dei difensori impegnati in quel procedimento (e più in generale nei confronti del diritto di difesa che ha come essenziale punto di partenza il diritto dell’indagato, in vinculis, di poter interloquire immediatamente e riservatamente con il proprio difensore) – si legge in un documento della Camera penale – Nella personalissima opinione del G.U.P., gli avvocati si potrebbero rendere disponibili a travalicare l’esercizio del diritto di difesa ed a rendersi corresponsabili di un’attività di inquinamento probatorio».

Più articolata la riflessione sul terzo comma dell’articolo 104 del codice di procedura penale cui il gip ha fatto ricorso per intervenire a gamba tesa sul diritto dell’indagato a conferire con il difensore a partire dal momento dell’arresto. Una norma delicata, osservano gli avvocati, «di natura straordinariamente emergenziale e da maneggiare con la massima cura e prudenza» che «se non interpretata in maniera rigorosissima ed intrisa dei valori costituzionali, rischia di fatto di produrre una “difesa minorata” proprio nei procedimenti per i reati più gravi in cui è ancora più essenziale – per il singolo individuo e per il sistema e l’ordinamento nel suo complesso – la presenza di una difesa forte, libera ed effettiva». «La norma di per sé presenta profili di difficile compatibilità con i principi costituzionali (in particolare con l’art. 24 comma 2 della Costituzione), convenzionali (l’art. 6 CEDU) e con la direttiva 2013/48/UE (recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 15 settembre 2016, n. 184)». Già nel 2017 l’Unione delle Camere penali chiese l’abrogazione di questa norma. Il punto della questione, per i penalisti, è la genericità della norma stessa o meglio la difficoltà nel riempirla di sostanza.

Per i non addetti ai lavori, recita la norma: «Nella fase delle indagini preliminari, quando sussistono specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, il giudice su richiesta del pubblico ministero può, con decreto motivato, dilazionare, per un tempo non superiore a cinque giorni, l’esercizio del diritto di conferire con il difensore». Ora, per gli avvocati l’aspetto scivoloso è costituito dalla locuzione «specifiche ed eccezionali ragioni di cautela». Cosa significa? Quando si può affermare che esistono queste ragioni di cautela? Per la Camera penale di Napoli la risposta è netta: «E’ evidente che le eccezionali ragioni di cautela non possono essere determinate dalla mera astratta gravità del titolo di reato ma richiedono evidentemente un quid pluris e, cioè, che sussista un gravissimo pericolo per la vita, la libertà o l’integrità fisica di una o più persone; che sussista la necessità indispensabile di un intervento immediato delle autorità inquirenti per evitare di compromettere in modo sostanziale un procedimento penale; o che, a causa della lontananza geografica dell’indagato o imputato, sia impossibile garantire il diritto di avvalersi di un difensore senza indebito ritardo dopo la privazione della libertà personale (in questi termini si esprime la direttiva 2013/48/UE che esclude esplicitamente che il diritto al colloquio possa essere compresso o ritardato in base alla mera gravità del reato contestato)». Inoltre per gli avvocati l’aggettivo «specifiche» (ragioni di cautela) rafforza il concetto di rigore sotteso al ricorso alla norma: «Il termine specifico non può che significare che debbano ricorrere elementi di fatto concreti ed univoci dai quali poter inferire il rischio che il colloquio con il difensore possa pregiudicare completamente l’attività investigativa e dar luogo ad un vero e proprio inquinamento probatorio. Non basta – come invece sembrerebbe sostenersi nell’ordinanza in commento – che un tale rischio sia astrattamente ipotizzabile (peraltro, esso in astratto è sempre ipotizzabile) atteso che una mera ipotesi/illazione non può certo comprimere un diritto fondamentale costituzionalmente garantito».

lunedì, 12 Giugno 2023 - 20:26
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