Verbali Amara e Loggia Ungheria, condannato Davigo a un anno e 3 mesi. Dovrà pure risarcire il pm Ardita

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L'ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo

Il ‘dottor Sottile’, padre di quel discusso “Non esistono innocenti: ci sono solo colpevoli non ancora scoperti”, è stato condannato. I giudici del Tribunale di Brescia l’hanno ritenuto colpevole di rivelazione di segreto d’ufficio, in concorso con il pm Paolo Storari (già assolto in via definitiva), nella gestione dei verbali secretati dell’avvocato Piero Amara circa l’esistenza (poi smentita) di una ‘loggia Ungheria’, un’associazione segreta che voleva condizionare nomine politiche e giudiziarie. Un anno e tre mesi di reclusione, pena sospesa, è la disposizione della sentenza letta dal presidente della prima sezione penale Roberto Spanó. In aula era presente anche il procuratore capo di Brescia Francesco Prete. Assente, invece, Davigo.

I giudici, nel condannare Davigo, gli hanno riconosciuto le attenuanti generiche e concesso la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel casellario giudiziario. I giudici, che depositeranno le motivazioni in 30 giorni, hanno stabilito un risarcimento di 20mila euro per Sebastiano Ardita pure lui ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura e parte civile nel processo.

A Davigo si contestava l’aver recepito in maniera impropria quei verbali, dopo aver convinto il pm di Milano Paolo Storari sulla correttezza del passaggio di mano. Un inciso, anche se la storia è ormai nota: Storari era tra i pm delegato alle indagini su Eni e aveva raccolto le dichiarazioni di Amara sulla ‘loggia Ungheria’. Notando che i superiori avevano lasciato nel cassetto quelle dichiarazioni sull’associazione segreta, benché Amara avesse fatto nomi di diversi magistrati come partecipi, s’era preoccupato di una possibile azione per omissione nell’indagare. Così s’era rivolto a Davigo, all’epoca consigliere del Csm, rappresentandogli tutte le circostanze e chiedendogli come muoversi. Davigo gli disse di dargli i verbali, sostenendo che essendo lui consigliere del Csm veniva meno il vincolo del segreto d’ufficio. Storari si fidò e gli consegnò l’incartamento. Successivamente però Davigo fece menzione di quelle carte e del suo contenuto con diverse persone, a cominciare dall’allora presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra. Proprio questo «chiacchiericcio», come lo hanno definito i pm in requisitoria, ha integrato la contestazione di rivelazione di segreto d’ufficio che secondo il Tribunale di Brescia è sussistente.

Durante il processo, cominciato il 20 aprile dell’anno scorso, sono stati citati come testimoni, non solo l’ex vicepresidente del Csm David Ermini, e una serie di consiglieri di allora, ma anche alcune delle toghe allora di primo piano come il pg della cassazione Giovanni Salvi e l’ex procuratore di Milano Francesco Greco. Oltre al pm milanese Paolo Storari, che invece è stato assolto definitivamente dalla vicenda.

«C’è stato un tentativo di golpe ai danni del Consiglio superiore della magistratura e il consigliere Ardita era stato visto come uno dei pochi ostacoli» alla realizzazione, ha affermato il difensore di Sebastiano Ardita, avvocato Fabio Repici. La condanna «era l’unica sentenza possibile nel rispetto della legge, davanti a un reo confesso non si poteva far finta di niente» ha aggiunto Repici affermando che «oggi bisognerebbe ringraziare Ardita per aver mantenuto la dignità dell’Organo di autogoverno della magistratura, senza un ruolo nel quadriennio e senza l’impegno di pochi altri di tutela delle istituzioni». «Se quella operazione fosse riuscita – ha concluso – ci troveremmo davanti a una giustizia più sbandata».

martedì, 20 Giugno 2023 - 18:59
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