Blitz Di Lauro, per la Dda il capoclan è Vincenzo: «Provarono a tirarlo fuori dal 41 bis con perizia di medico del Cardarelli»

di Giorgio Pari

Vincenzo Di Lauro dal 2015 «è il capoclan» dell’omonima cosca di Secondigliano, fondata dal padre Paolo alias Ciruzzo ‘o milionario. Ne è certa la Dda di Napoli. I pm Maurizio De Marco e Lucio Giugliano lo hanno messo nero su bianco. E l’ipotesi trova accogliemento nelle quasi 2000 pagine di ordinanza cautelare del gip Luca Della Ragione del Tribunale di Napoli, eseguita ieri dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Napoli. Vincenzo Di Lauro, 48 anni, secondogenito di Ciruzzo ‘o milionario, è tra i 27 arrestati ieri nel blitz coordinato dalla procura partenopea.

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Più «colletto bianco» che «camorrista di sostanza», secondo alcuni pentiti, Enzo Di Lauro è noto agli affiliati come F2. Un codice identificativo, secondo l’ordine di anzianità tra i dieci rampolli del boss, rivelato da un documento sequestrato anni fa. Per l’anticamorra, a decretarne la leadership è stata la «chiara regola del comando e gestione del clan risalente a Paolo Di Lauro». Il padre avrebbe stabilito che «l’organizzazione criminale è governata dal fratello maggiore in libertà».

In aderenza ai racconti dei collaboratori, Enzo avrebbe proiettato l’organizzazione in una dimensione nuova. «Rispetto ai numerosi fratelli – si legge nell’ordinanza , una persona che ha intrapreso la strada della discontinuità nelle scelte criminali del clan. Egli considera infatti il clan come una sorta di ‘azienda di famiglia’ ed i metodi camorristici come mezzo necessario per raggiungere finalità che sono essenzialmente economiche (commerciali, finanziarie ecc.) e non principalmente per affermare il dominio sul territorio, che non è più l’elemento costitutivo unico ed essenziale su cui ruota la vita criminale della sua consorteria». In tal senso, «come ritenuto correttamente dal pm richiedente, ha ‘modernizzato’ una consorteria già tristemente famosa per le sanguinose faide scatenate nel primo decennio del secolo».

Per gli inquirenti «il capoclan Di Lauro Vincenzo infatti evitato il ricorso, ove possibile, a mezzi esplicitamente violenti, che ha in sostanza subappaltato a consorterie più navigate nel contesto dell’uso della violenza». Il riferimento è al clan della Vanella Grassi, riavvicinatisi ai Di Lauro dopo la prima faida di Scampia. Tra i due clan ci sarebbero rapporti «spesso così stretti da potersi parlare dapprima di joint venture e, successivamente, di vera e propria alleanza organica, o partnership». Enzo Di Lauro viene ritratto come «una sorta di ‘padre nobile’, garante sul territorio anche delle frange vinelliane che, colpite da numerosi provvedimenti giudiziari, tentano faticosamente di riorganizzarsi, nonchè arbitro delle loro intemperanze».

Scarcerato nel gennaio 2015, F2 è stato successivamente sottoposto alla libertà vigilata. Tornato libero «ha inteso riprendere le redini del clan – afferma l’ordinanza, in quel momento guidato ‘da remoto’ dal fratello» Marco, il quartogenito catturato nel marzo 2019, dopo 15 anni alla macchia. Per gli investigatori, al momento della scarcerazione, si sarebbe manifestata una «problematica gestione congiunta». Cioè quella di Enzo da un lato, quella di Marco e del sestogenito Salvatore dall’altra. Una situazione «che comportava due visioni non coincidenti delle attività criminali del clan, con non pochi problemi interni». Il rompicapo, però, avrebbe trovato «una inattesa soluzione il 2.3.2019, allorchè Di Lauro Marco viene arrestato, tradito da Tamburrino Salvatore», affiliato che ne gestiva la latitanza, oggi collaboratore di giustizia ritenuto cruciale.

E insomma, «la regola del comando» del padre-boss avrebbe consentito a Enzo di imprimere la sua linea al clan. E prima di tutto, «di chiamare a sé immediatamente» Vincenzo Menna, anch’egli arrestato nel blitz, considerato «soggetto con grande esperienza nel campo imprenditoriale». Gli affari nel mirino dei pm svariano dall’economia legale a quella illegale: attività commerciali, aste giudiziarie, frodi carosello, contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Tra le carte d’inchiesta, spunta pure il presunto tentativo di procacciarsi una perizia medica. Obiettivo sarebbe stato certificare «l’incompatibilità con il regime carcerario» di Enzo Di Lauro, nel 2011 detenuto al 41 bis nel carcere di Parma. A provarci sarebbe stato Giuseppe Prezioso, ritenuto affiliato fedelissimo a Cosimo Di Lauro, il primogenito morto in carcere l’anno scorso. In un’intercettazione sull’utenza in uso a Salvatore Tamburrino, Prezioso telefonò a un infermiere del Cardarelli. Secondo gli investigatori, il dipendente dell’azienda ospedaliera «precisava all’interlocutore di aver già contattato, di persona, un medico, verosimilmente in servizio all’ospedale Cardarelli, disponibile a sottoscrivere una perizia in favore di Di Lauro Vincenzo».

giovedì, 19 Ottobre 2023 - 10:19
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