Omicidio Casone, follia dei killer: condoglianze alla vedova dopo il delitto Nessun rimorso per la vittima innocente

Procura di Napoli (foto Kontrolab)
di Manuela Galletta

I killer che sparano, noncuranti di avere di fronte una persona innocente. I killer che inseguono il vero obiettivo del raid finendolo con tre colpi di pistola. I killer che non esitano a colpire al capo, col calcio della pistola, la donna che aveva cercato di sbarrare loro la strada dopo aver visto il marito stramazzare al suolo. E poi i killer, sempre loro, che si presentano in casa del ras ammazzato per fare le loro condoglianze alla vedova del malavitoso, come se nulla fosse.
L’inchiesta sul duplice omicidio di Ciro Casone, referente dei Moccia nel comune di Arzano, e dell’innocente Vincenzo Ferrante apre la finestra su uno spaccato di delirio criminale che porta la firma di una costola guerrafondaia degli Amato-Pagano, la costola guidata da Renato Napoleone. L’agguato, avvenuto il 26 febbraio del 2014, si consuma per l’ambizione di Napoleone di accaparrarsi il controllo del racket delle estorsioni sino a quel momento appannaggio di Casone. E si consuma con il complice silenzio di personaggi che sino a quel momento avevano rapporti d’affari. E’ grazie all’incrocio delle dichiarazioni di quattro collaboratori di giustizia che il pubblico ministero antimafia Vincenza Marra e i carabinieri della compagnia di Castello di Cisterna riescono a incastrare i tasselli del puzzle. Ma soprattutto è grazie alle intercettazioni ambientali che emergono particolari inquietanti sul delitto. Il 28 marzo del 2014 la vedova Casone racconta ai fratelli, tra cui il ras Giovanni Di Iannicella, cosa è accaduto la sera del delitto e afferma di aver riconosciuto in uno dei killer «il ballerino», ossia Renato Napoleone. Non solo: ancora incredula per l’episodio, rivela pure che Napoleone e altri ragazzi del suo gruppo si sono presentati a fare le condoglianze. «Stavano tutti fatti a cocaina», dice la donna. E la circostanza, paradossale, finisce agli atti dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere con la quale si è messo un primo punto fermo alle indagini durate quattro anni. L’altro dato che viene fuori dai racconti dei pentiti è invece l’assenza di rimorso nell’aver ucciso una persona innocente, Vincenzo Ferrante, un ragazzo di 30 anni, che si trovava nel centro estetico ‘Solero’ dove si consumò il massacro: i killer gli esplosero contro ben cinque colpi di pistola. «Cicciariello (Francesco Paolo Russo, ndr) mi disse di essere l’autore del duplice omicidio – ha raccontato l’ex capo della Vanella Grassi, in buoni rapporti all’epoca con gli Amato-Pagano – Io allora gli dissi che nell’azione avevano ucciso un bravo ragazzo e Cicciariello mi rispose che non poteva saperlo, e che era andato di mezzo perché era accanto al referente delle estorsioni ad Arzano per conto del clan».

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giovedì, 15 Marzo 2018 - 14:43
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