Crollo di Rampa Nunziante, requisitoria del pm: «Gli imputati si sono affidati alla provvidenza. Tutti sapevano»

Torre Annunziata, crollo della palazzina di Rampa Nunziante (foto Kontrolab)
di Roberta Miele

«Tutti gli imputati sapevano. Tutti sapevano tutto perché il palazzo era di interesse comune». Parole come macigni quelle della pm Andreana Ambrosino contro i quindici imputati al processo per il crollo della palazzina di rampa Nunziante a Torre Annunziata che il 7 luglio 2017 seppellì otto persone (tra cui due bambini).

Stamattina nell’Aula Siani del tribunale oplontino è iniziata la requisitoria dell’accusa, che terminerà alla prossima udienza e riguarderà le questioni urbanistiche. Per cinque ore il pubblico ministero ha ricostruito i fatti, analizzato le dichiarazioni dei testimoni, scandagliato le perizie dei consulenti tecnici e messo insieme i documenti partendo proprio dal momento del cedimento dell’edificio, avvenuto intorno alle 6,30 del mattino.

Degli accusati, ad ascoltare la discussione erano presenti solo Gerardo Velotto, promissario acquirente dell’appartamento al secondo piano da cui sarebbe partito il crollo, e l’architetto Massimiliano Bonzani che, per la procura, ha diretto i lavori di ristrutturazione. Ad entrambi sono contestati i reati di crollo e omicidio colposo. Stesse accuse anche per l’avvocato penalista Massimo Lafranco, promissario venditore, Aniello Manzo, proprietario e architetto che, secondo la procura, «ha assunto su di sé le funzioni tipiche del direttore dei lavori», e il penalista Roberto Cuomo, proprietario e amministratore di condominio. La conoscenza di tutto quanto riguardasse l’edificio è confermata da alcune chat ritrovate all’interno del telefono di Giacomo Cuccurullo, miracolosamente estratto intatto dalle macerie. Conversazioni definite «grottesche» dalla pm che però non sono state trovate sui cellulari degli imputati.

«Sarebbe bastato fare due conti con un metodo che si insegna agli istituti di geometra per capire che i maschi erano sufficientemente caricati e invece – ha dichiarato l’accusa – (gli imputati, ndr) hanno preferito affidarsi alla provvidenza». Il giorno prima del crollo il quadro fessurativo, stando alla ricostruzione della procura, era «drammatico», ma anziché sgomberare l’edificio e chiamare i vigili del fuoco, all’assemblea di condominio, tenutasi nel pomeriggio, gli imputati hanno solo programmato degli interventi strutturali per il giorno dopo. All’alba del 7 luglio, però, il palazzo è venuto giù uccidendo Giacomo Cuccurullo, la moglie Adele Laiola, e il loro figlio Marco, Giuseppina Aprea, Pasquale Guida, la moglie Anna Duraccio e i loro figli Francesca e Salvatore.

mercoledì, 3 Febbraio 2021 - 21:05
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