Napoli, l’avvocato dissipò i soldi del ras Minacciarono di uccidergli il figlio, lui si tolse la vita | L’inchiesta sui Contini

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Quello che segue è un articolo di approfondimento sull’inchiesta relativa all’Alleanza di Secondigliano e dei Contini pubblicato in esclusiva sul numero di oggi del quotidiano digitale disponibile a partire dall’una di notte. Questo articolo fa parte dei numerosi approfondimenti che Giustizia News24 realizza sul quotidiano digitale, disponibile su abbonamento, e che integra l’informazione gratuita offerta sul sito.
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Un avvocato civilista che si presta a reinvestire denaro sporco del ras Ciro Di Carluccio e che, fallita l’operazione, si toglierà vita e poi ancora un altro legale che sarebbe finito vittima di usura da parte di alcuni esponenti del clan Contini.
Ci sono due particolari storie che legano i Contini al mondo dell’avvocatura negli atti dell’inchiesta ‘Cartagena’ che ha descritto uno spaccato criminale che arriva sino al 2016 e che ha per protagonisti i Contini soprattutto, ma anche i Licciardi e i Mallardo. Due storie che vale la pena raccontare a partire dalla morte di un civilista, che nel 2014 si è tolto la vita. Un gesto disperato, dietro il quale si nasconde un brutto intreccio di affari illeciti nel quale il professionista si era infilato perché non gli era rimasto più niente.

Secondo quanto emerso dalle intercettazioni che sono al cuore dell’inchiesta, il civilista aveva prestato la propria disponibilità ad investire i soldi di Ciro Di Carluccio attraverso una serie di manovre economiche finanziarie ed immobiliari. Un’attività che – secondo quanto riscontrato dal sequestro di diversa documentazione in casa di Carlo Piscopo, che aveva presentato il legale a Di Carluccio – il civilista conduceva dal 2010. Tuttavia, riassume il gip nella misura cautelare, l’avvocato non era riuscito a concretizzare gli investimenti nei tempi pattuiti, né a restituire il denaro. Il legale, si legge negli atti d’inchiesta, aveva infatti distratto il denaro, un’ingente somma, per fini personali. Questo lo aveva esposto a pesanti minacce, anche telefoniche. Minacce ‘registrate’ dagli inquirenti. Il 16 ottobre 2013 Piscopo si sfogò al telefono con Francesco Esposito, e rivolse a lui i pensieri che in realtà aveva espresso all’avvocato in un’altra telefonata: «.. Quello che tu hai fatto ai miei figli, alla mia famiglia… io te lo faccia alla famiglia tua… Io ti faccio una cosa brutta. Io veramente faccio una cosa brutta ai figli tuoi. E non è una minaccia, è proprio una promessa». Parole che si ripeterono in numerose altre telefonate, nel corso delle quali il legale cercò di prendere tempo, di giustificare la ‘sparizione’ dei soldi che gli erano stati da Di Carluccio e che non riusciva più a restituire: «Lo so che non mi crederai mai, ma tu devi sapere una cosa – diceva parlando con Francesco Esposito, che si fa portavoce delle pressanti richieste di Ciro Di Carluccio -. Ho lo sfratto per morosità, sono sette mesi che non pago pur di riuscire a tenere avanti lo studio per portare avanti quella merda di cosa. Sette mesi. Non ho comprato le scarpe di calcio ai miei figli per fare le partite di calcio perché non avevo soldi. Io sto tirando avanti soltanto per il lavoro, lo studio.. per riuscire a risolvere.. avere uno sprazzo.. un futuro.. un minimo di cosa davanti. (…) Mi sono venduto per pagare la bolletta dell’Enel, la catenina che tenevo al collo e il braccialetto. Non più una catenina, un braccialetto, un orologio». A questo punto Esposito lo incalzò: «Si può accettare tutto… digli che fine hanno fatto i soldi i soldi (…) Sei arrivato alla canna del gas? Si può sapere?». E il legale confermò: «Sono arrivato alla canna del gas… (…) I soldi li ho persi mano mano, per cercare di tenere il giro… li ho persi man mano. Questo è…(…) Se uno mi vuole uccidere, mi uccide. Però non minacciare i miei figli perché sto impazzendo». Si andò avanti così per settimane, per mesi. Né le pressioni si fermarono quando, nel gennaio 2014, scattò il blitz ‘Aracne’ contro i Contini e Di Carluccio finì in carcere insieme a Piscopo. Nel marzo successiva Carlo Piscopo, che si era fatto garante presso Di Carluccio per l’operato dell’avvocato, inviò al legale una lettera dal carcere (dove Piscopo era finito nel gennaio 2014), nella quale «oltre a minacciare lui e suo figlio 14enne, richiedeva la corresponsione di un vitalizio di 10mila euro al mese per il sostentamento della sua famiglia». Alcuni mesi dopo l’avvocato si tolse la vita.

In mano alla camorra finisce anche un avvocato penalista, che entra in contatto coi Contini per avere difeso uno dei suoi affiliati. Il penalista – il cui nome fu già associato ad un’inchiesta sui fascicoli fatti sparire in Tribunale a Napoli per favorire un imputato – si rivolge a Mario Ambrosio per un prestito. Ambrosio, per inciso, viene considerato al soldo del gruppo di Salvatore Botta, gruppo impegnato nell’attività di sua e riciclaggio dei proventi dei Contini. «E’ possibile fare un’altra operazione però ad un mese questa volta?», domanda il professionista nel 2013. Risponde Ambrosio: «Devo domandare. Di quanto? Sempre di mille?». Seguono altre conversazioni, riguardanti soldi e assegni. Ma dal contenuto mai troppo specifico.

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giovedì, 27 Giugno 2019 - 16:22
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