Carceri, siluro di Di Matteo a Bonafede. E le opposizioni vanno all’attacco: «Fatti gravi, il ministro si dimetta»

Nino Di Matteo e Alfonso Bonafede

Il siluro che fa traballare pericolosamente, mai come prima, la sedia del ministro della Giustizia lo lancia il magistrato Nino Di Matteo, componente del Consiglio superiore della magistratura, durante un collegamento telefonico con ‘Non è l’Arena’ di Massimo Giletti. «Nel giugno del 2018 Bonafede – ha confidato Di Matteo – mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o, in alternativa, quello di direttore generale degli affari penali. Il ministro mi disse scelga lei. Chiesi 48 ore di tempo di tempo per dare una risposta, ma quando ritornai, avendo deciso di accettare la nomina a capo del Dap, il ministro mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano pensato di nominare Basentini».

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Motivo del dietrofront secondo Di Matteo: «Alcune informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla Procura nazionale antimafia, ma anche alla direzione del Dap, quindi penso fossero conosciute dal ministro, avevano descritto la reazione di importantissimi capimafia, legati anche a Giuseppe Graviano e ad altri stragisti all’indiscrezione che io potessi essere nominato a capo del Dap». Quei capimafia dicevano: «Questo butta la chiave» e «Facimm ammujana (in caso di nomina del magistrato, ndr), ha ricordato Di Matteo che ha deciso di intervenire perché «i fatti devono essere conosciuti». Parole durissime che lasciano intendere come il Guardasigilli abbia deciso all’epoca di fare un passo indietro sul nome di Di Matteo per il timore di rivolte in carcere e di una tensione crescente all’esterno sempre negli ambienti mafiosi. Di Matteo, dal canto suo, non chiese al ministro le ragioni del suo ripensamento: «Io non chiesi al ministro perché aveva cambiato idea. Forse per orgoglio o forse perché c’era quella situazione concomitante delle intercettazioni».

Parole pesanti, e importanti, che arrivano all’indomani della profonda spaccatura che si è aperta tra la magistratura associata e il Governo sul dietrofront relativo al processo da remoto. Processo da remoto fortemente avallato, per la ‘fase 2’, dall’Associazione nazionale magistrati ma poi di fatto ‘congelato’ nel decreto legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 aprile.

Bonafede ha subito replicato, intervenendo a sua volta in trasmissione dicendosi «estereffato nell’apprendere che viene data una dichiarazione grave perché viene raccontato un fatto assolutamente sbagliato». Il ministro ha rivendicato, anzitutto, di avere «portato avanti solo leggi scomode», di avere firmato il 41bis per oltre 600 malavitosi, di avere fatto approvare «la legge sul voto di scambio politico-mafioso» e che giovedì è stato «approvato il decreto legge per modificare una norma mai modificata ossia che il tribunale di sorveglianza deve chiedere obbligatoriamente il parere alla Direzione distrettuale antimafia per concedere i domiciliari ai boss». Ciò per sostenere, ha insistito Bonafede, che «dire ai cittadini che lo Stato sta indietreggiando rispetto alla mafia è un fatto grave». Bonafede ha poi offerto un’altra versione dell’incontro al ministero tra lui e Di Matteo: «Io gli dissi che per me sarebbe stato più importante per lui gli Affari penali che vedevo più di frontiera nella lotta alla mafia perché era il ruolo che era stato di Giovanni falcone. Io non ho proposto a di Matteo un ruolo minore nella lotta alla mafia. A me era sembrato che alla fine dell’incontro fossimo d’accordo. Ma oggi questo spiega il motivo per cui il dottor Di Matteo mi chiese di incontrarmi di nuovo e mi dice che non poteva accettare il discorso». Di Matteo ha replicato confermando la sua ricostruzione: «Io non ho fatto interpretazioni, ho raccontato dei fatti precisi che confermo in ogni passaggio».

Repliche a parte, le rivelazioni di Nino Di Matteo aprono adesso un ‘processo’ a Bonafede. In prima mattina sono arrivate le dichiarazioni delle opposizioni che sollecitano le dimissioni del ministro. Il capogruppo di Forza Italia alla Camera dei Deputati Mariastella Gelmini chiede, in un post su Twitter, che «Alfonso Bonafede venga immediatamente in Parlamento. Le gravissime accuse del pm non possono cadere nel vuoto: o Di Matteo lascia la magistratura o Bonafede lascia il ministero della Giustizia». Chiede chiarezza anche il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, Luca Siriani: «Quindi delle due l’una: o il pm antimafia è un calunniatore mosso da gelosia o da vendette private e allora va licenziato e denunciato penalmente oppure il ministro Bonafede, oltre a essere inadeguato e imbarazzante, è pure un bugiardo colluso. E le dimissioni immediate sono il minimo che possa fare». Entra a gamba tesa il leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che ieri sera su Facebook ha scritto: «Ai disastri si aggiungono ombre sul comportamento del guardasigilli. Fossi Alfonso Bonafede, domani mattina rassegnerei le mie dimissioni di ministro della Giustizia». Si allinea al coro di chi chiede chiarezza anche il gruppo dei parlamentari ‘Cambiamo!’ di Toti: «Rivolte nelle carceri, processi da remoto, mafiosi e trafficanti scarcerati e, da ultimo, l’accusa del giudice Di Matteo, un paladino per i grillini, al quale il ministro della Giustizia avrebbe proposto la nomina al Dap salvo poi fare marcia indietro per la minaccia dei boss mafiosi di scatenare nuove rivolte nei penitenziari: ce ne è abbastanza per chiedere a Bonafede di venire immediatamente a riferire in Parlamento e spiegare cosa sta succedendo e quanto ci sia di vero nelle affermazioni di Di Matteo», affermano in una nota i parlamentari di Cambiamo! Stefano Benigni, Manuela Gagliardi, Claudio Pedrazzini, Alessandro Sorte e Giorgio Silli. Nessuna dichiarazioni, per ora, è invece arrivato dal Movimento Cinque Stelle né tantomeno da uno dei partiti che compongono la maggioranza di governo. Va all’attacco anche la Lega: i parlamentari del Carroccio in Commissione antimafia (Gianluca Cantalamessa, Andrea Dara, Lina Lunesu, Enrico Montani, Luca Paolini, Pasquale Pepe, Erik Pretto, Gianni Tonelli e Francesco Urraro) affermano che «Bonafede non può più essere il ministro della Giustizia. Dopo le dichiarazioni gravissime del dottor Di Matteo e le risposte imbarazzanti rese dallo stesso Guardasigilli, non resta che questa decisione già indicata da tempo dalla Lega sin dal primo giro dello scandalo sulle scarcerazioni ai boss mafiosi». (Segui gli aggiornamenti: «Caso Di Matteo-Bonafede, i grillini restano in silenzio. Ferri (Iv) chiede la testa del ministro, solo Orlando (Pd) lo difende»)

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lunedì, 4 Maggio 2020 - 10:51
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