A protestare contro una decisione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, questa volta non sono gli avvocati. Bensì i magistrati, con la singolare conseguenza che i penalisti in particolari si ritrovano a dovere difendere, incidentalmente, ciò che il Guardasigilli ha messo nero su bianco nell’ultimo decreto legge, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 aprile, circa le misure relative alla ripresa dell’attività giudiziaria a partire dal 12 maggio.
L’oggetto del contendere è il processo da remoto, che per settimane ha infiammato dibattiti e proteste, alimentando lo scontro tra magistratura e avvocatura. La posizione dominante dei magistrati era quella di utilizzare il processo da remoto nella ‘fase 2’ allo scopo di decongestionare anche gli uffici (consentendo in buona sostanza ai magistrati di potersi ‘collegare’ anche da casa per partecipare all’udienza), salvo poi tornare alla normalità al termine dell’emergenza sanitaria. Dall’altro lato della barricata gli avvocati, che hanno insistito sino all’ultimo per il ritorno delle aule ma con l’adozione di rigorose misure di sicurezza per scongiurare assembramenti. Ed è proprio la linea dell’avvocatura ad avere trovato spazio nell’ultimo decreto legge: il processo da remoto resta una via percorribile solo se a farne richieste sono le parti interessati. Altrimenti la regola generale è che il processo da remoto non si applica alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio e quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti.
Ebbene, mentre l’avvocatura almeno per il momento tira un sospiro di sollievo ma non abbassa la guardia (serpeggia il timore che per il futuro il Guardasigilli possa valutare il processo da remoto come strutturale), è la magistratura a fare la voce grossa per avere visto disattese le sue indicazioni. Sia l’Associazione nazionale magistratura che la corrente ‘Area’, con due comunicati diversi nella forma ma simili nella sostanza, stigmatizzano il contenuto del decreto legge che nei fatti accantona il processo da remoto. L’Anm esprime «sconcerto» sull’ultimo «della serie alluvionale di atti normativi che dovrebbero guidare l’organizzazione della giustizia nell’emergenza»: «Nella storia della Repubblica non è mai accaduto che una norma processuale introdotta con legge di conversione contenente modifiche a un precedente decreto sia stata a sua volta emendata, il giorno stesso della sua entrata in vigore, da un ulteriore decreto legge contenente modifiche delle modifiche», si legge nella nota. L’Anm non solo contesta la decisione di rimettere «alla volontà delle parti la scelta sullo svolgimento da remoto delle attività nel processo penale» ma contesta anche «l’innovativa previsione dell’udienza civile ‘da remoto necessariamente celebrata in ufficio’». Un aspetto, quest’ultimo, definito «irragionevole» perché «richiede una presenza sul luogo di lavoro – in contraddizione con le perduranti esigenze di tutela della salute pubblica – proprio per i giudici che, mediante il processo civile telematico, possono condividere con le parti e con gli altri componenti del collegio tutti gli atti processuali senza necessità di consultazioni cartacee». Da qui la richiesta, se diventa prioritaria la presenza in ufficio del giudice civile, «di aule di udienza e assistenza, come la legge e la dignità della funzione esigerebbero».
Sulla stessa linea la corrente ‘Area’, che però se la prende anche con gli avvocati, accusandoli in buona sostanza di avere puntato in piedi senza tenere conto delle conseguenze di tutela dei lavoratori: «La previsione che le udienze da remoto possano tenersi solo se le parti vi acconsentono costituisce chiama l’avvocatura ad assumersi la responsabilità della ripartenza. Dove non sarà possibile tornare nelle aule, la mancata ripresa delle attività sarà ascrivibile esclusivamente alla responsabilità dell’avvocatura, che non ha collaborato, e del Ministro, che non ha saputo adottare una linea univoca per la gestione di questa situazione». «Il nuovo decreto legge introduce poi l’obbligo per i magistrati di gestire il processo, anche quando è remotizzato, sedendo sul proprio scranno nell’aula: scelta irrazionale (soprattutto per il civile, dove esiste già un rodato sistema telematico) che pone seri problemi la salute collettiva. Anche questa previsione chiama il Ministro – sottolinea ancora Area – ad assumersi le sue responsabilità. È necessario, infatti, che vengano predisposti e garantiti tutti i presidi sanitari che consentano ai magistrati e ai cancellieri di lavorare in sicurezza ed è indispensabile che le aule giudiziarie, oltre ad assicurare il necessario distanziamento, vengano dotate di tutti i presidi tecnologici per la gestione telematica. La magistratura deve pretendere che tali misure siano messe in atto prima della ripresa parziale del 12 maggio».
Inevitabile la replica dell’Unione delle Camere penali italiane, che accusano i vertici della magistratura associativa di «reazione scomposta» e rilevano come essa sia distante dal «comune sentire della stragrande maggioranza della magistratura italiana, con la quale i penalisti da oltre due mesi stanno costruttivamente confrontandosi nelle concrete realtà dei vari uffici giudiziari, per organizzare prima la contrazione ed ora la graduale ripresa del comune ed inderogabile dovere di esercitare la giurisdizione, mediante il ritorno nelle aule di giustizia e non certo sullo schermo dei rispettivi computer». Per l’Unione delle Camere penali italiane è evidente che la posizione dell’Anm «disvela e conferma l’investimento politico che la dirigenza della magistratura associata aveva affidato a questo sconclusionato ed avventuristico progetto di celebrazione di processi su piattaforme commerciali di conversazione tra persone, e cioè una insperata accelerazione verso la burocratizzazione autoritaria del processo penale mediante la riduzione a icona del diritto di difesa dei cittadini».
Infine, una risposta piccata ad ‘Area’ sulle responsabilità da addossare all’avvocatura: «Respingiamo con sdegno i minacciosi riferimenti a non si sa bene quali responsabilità che, secondo il Direttivo di “Area DG”, ci assumeremmo non acconsentendo a questo scempio del diritto e dei diritti che è il videogame del processo penale – si legge nella nota – La sola responsabilità che noi avvertiamo è quella di rimuovere quanto prima la paralisi della giurisdizione, non già facendone la parodia telematica ma riaprendo le aule (magari anche di sabato e per qualche settimana in agosto), senza odiose ed ingiustificabili pretese di protezioni privilegiate rispetto a quelle che spettano ai milioni di cittadini che, tornando al proprio lavoro o addirittura non avendolo mai abbandonato, hanno consentito e consentono al nostro Paese di riconquistare la normalità della propria vita sociale e civile. Guanti, mascherine, distanziamento, maniche rimboccate, e torniamo a lavorare».
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sabato, 2 Maggio 2020 - 16:57
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