Carabinieri arrestati, l’accusa: «Torture e angherie riprese con telefonino». L’Arma invia due stazioni mobili a Piacenza

Carabinieri

Dopo il sequestro della caserma dei carabinieri di Piacenza Levante, il Comando generale dell’Arma ha deciso di inviare a Piacenza due stazioni mobili e 8 militari. La decisione è stata intrapresa «nel rispetto dei provvedimenti adottati dall’Autorità giudiziaria» per «continuare a garantire senza soluzione di continuità la funzionalità del presidio al servizio di quella collettività e per la tutela della legalità».

Legalità calpestata, secondo la ricostruzione che gli inquirenti hanno fatto di quanto avvenuto nella stazione piacentina ed emerso dall’indagine culminata con l’arresto dei 7 carabinieri. Nei confronti di questi ultimi, i capi di imputazione sono cinque: nei capi d’imputazione 39, 46, 47, 48 e 50 – si legge nell’ordinanza – «è stato posto l’accento sulla violenza che ha connotato le iniziative intraprese dai militari della stazione Piacenza Levante». Le immagini recuperate dalla memoria del telefonino di Giuseppe Montella, uno dei destinatari dell’ordinanza, ma anche quelle riprese dalla telecamera di sicurezza e le registrazioni audio «dei pestaggi compiuti presso la caserma e i riferimenti operati dai soggetti intercettati – aggiunge il Gip – contribuiscono a delineare un quadro indiziario solido e convergente».

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I «gravi indizi» sussistono in particolare per la contestazione del reato di tortura. «In quanto – scrive il giudice – la persona nei cui confronti sono state compite le condotte illecite, si trovava in una condizione di privazione della propria libertà personale, peraltro illegittima (non essendo ancora avvenuto il suo arresto) ed era stata costretta a subire le angherie di Montella e dei suoi commilitoni». A colpire la vittima sarebbe stato solo uno dei carabinieri ma, aggiunge il Gip, «non può essere escluso il contributo attivo fornito da tutti gli indagati, i quali erano intenti o a suggerire particolari tecniche di persuasione o comunque ad assistere ad un fatto di estrema violenza che mai dovrebbe verificarsi all’interno di un ufficio di pubblica sicurezza».

Non solo: «è indubitabile come, ascoltando i suoni dei colpi assestati e, soprattutto, dei lamenti e del pianto della vittima, quest’ultima abbia provato ‘acute sofferenze fisiche’ sufficienti» a poter configurare il reato di tortura.

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giovedì, 23 Luglio 2020 - 11:23
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