Napoli, bullizzano il figlio disabile e lei si ribella. Per punirla dell’affronto il clan le impone di lasciare la casa di Ponticelli

di Gianmaria Roberti

Bullizzano il figlio disabile, lei si ribella: il clan le impone di lasciare l’alloggio popolare o, in alternativa, consegnare 5.000 euro. L’accusa emerge dall’ordinanza di misura cautelare, eseguita da Polizia e Carabinieri il 28 novembre, nei confronti di 66 indagati. Un maxi blitz anticamorra – coordinato dalla Dda partenopea -, contro il cartello criminale di Napoli Est, De Luca Bossa-Minichini e loro alleati.

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La storia, però, ha già vissuto precedenti capitoli giudiziari. E c’è già una sentenza di condanna in primo grado, tra le sue varie tappe. Presunta vittima è una giovane donna di Ponticelli, cuore dell’operazione di lunedì scorso. Il giudice non ha «dubbio della bontà delle dichiarazioni testimoniali, di natura accusatoria» rese dalla parte offesa. Secondo la ricostruzione, ci sono violenze e intimidazioni nei riguardi della donna, «legate alla disponibilità dell’abitazione Iacp» a lei assegnata. Condotte che «nascevano da questioni di natura personale, ovvero dagli atti di bullismo che aveva ricevuto il figlio minore, e portatore di handicap, della vittima» A perpetrarli sarebbe un altro giovanissimo, proveniente da un nucleo considerato vicino al clan.

Nella vicenda sono implicati alcuni nomi ritenuti di primo piano, nell’organigramma del cartello di camorra. Proprio perché – al di là dell’episodio da cui scaturirebbe – il clan avrebbe un principio da riaffermare: l’egemonia sugli alloggi della zona. «La violenza esercitata nei riguardi della vittima – spiega il gip – nel presentarsi in strada nei pressi della sua abitazione, in più persone a bordo di motocicli per imporre – con fare tipico della criminalità organizzata – di abbandonare l’abitazione e di consegnare le chiavi della stessa al sodalizio («porta le chiavi sulle case») perché da destinarsi diversamente, rientra nelle modalità tipiche attraverso le quali il cartello gestiva stabilmente l’attività illecita di gestione delle case popolari, così usurpandola alle autorità pubbliche comunali».

La violenza privata in concorso, con aggravante mafiosa, si contesta a Luigi Austero (finito in carcere nel blitz), Roberto Boccardi (carcere), Carmine Boccardi (divieto di dimora nella provincia di Napoli), Umberto De Luca Bossa (carcere), Domenico Gianniello (carcere), Mario Sorrentino (carcere). In quattro, poi, sono accusati di concorso in danneggiamento aggravato dall’agevolazione mafiosa: Gabriella Onesto, reputata elemento di spicco del clan; Maria Lazzaro, Lena Luongo e Ugo Trojer. Le prime due sono state condotte in cella, per altre contestazioni relative all’inchiesta. Per l’addebito in esame, invece, la misura loro applicata è dei domiciliari. Per Luongo e Trojer, il gip Linda Comella ha disposto il divieto di dimora nella provincia di Napoli.

Tutto inizia un giorno del settembre di due anni fa. Un 12enne, affetto da problemi psicologici e disturbi dei linguaggio, litiga con gruppo di coetanei. I ragazzini lo bullizzano spesso. All’ennesima volta, la madre del 12enne interviene. Rinfaccia le persecuzioni ai familiari di uno dei bulli: la madre, la zia e Carmine Boccardi, compagno della mamma. Ci sarebbe perfino una colluttazione tra Boccardi e il padre del bambino perseguitato. «Questi contrasti non si arrestavano a ciò, e – scrive il gip – vedevano coinvolti diversi componenti del sodalizio di appartenenza di Boccardi Carmine, che si ponevano al suo servizio per farla pagare a chi aveva osato a loro contrapporsi». E «dopo appena 15 minuti dalla lite in questione, – si legge nel provvedimento – Austero Luigi, Boccardi Roberto, Boccardi Carmine, De Luca Bossa Umberto, Gianniello Domenico e Sorrentino Mario si presentavano, a bordo di motorini, presso l’abitazione della vittima, intimandole di lasciare l’immobile Iacp da lei occupato, riuscendo nell’intento». La donna «si trasferiva momentaneamente da un parente dimorante in differente località».

L’inquilina, successivamente, «con l’intento di risolvere la questione relativa all’occupazione dell’immobile da parte del suo nucleo familiare – afferma l’ordinanza -, si recava al cospetto di Boccardi Roberto, De Luca Bossa Umberto e Sorrentino Mario, presso un centro scommesse sito in via Cleopatra, abitualmente frequentato dai componenti del sodalizio, per discutere della vicenda». Per il gip, «questi imponevano alla donna il pagamento di una somma dì denaro, pari ad euro 5.000,00, per poter continuare ad avere la disponibilità dell’immobile». La donna, quindi, va dai poliziotti del commissariato Ponticelli. Denuncia tali fatti, «integranti evidentemente una condotta estorsiva, benché tentata», perché i soldi non vengono mai sborsati. Roberto Boccardi, Umberto De Luca Bossa e Sorrentino sono sottoposti a fermo. Per loro arriva anche la condanna all’abbreviato, l’anno scorso.

Ma la storia non termina qui. Infatti, «interessava nel prosieguo del mese di settembre del 2020 – ricostruisce il giudice – altri componenti del gruppo o comunque soggetti intorno ad esso gravitanti, Lazzaro Maria, Onesto Gabriella, Trojer Ugo e Luongo Lena che in data 8-9-2020 sì recavano presso l’abitazione in questione e rompevano il cancello e la porta di ingresso, come immortalato dalle immagini delle telecamere di sorveglianza dell’immobile». Secondo gli inquirenti, «il loro intento era quello di cacciare dalla casa l’occupante», per «conferire la disponibilità dell’immobile» a Lena Luongo, detta Lelena. Giorni dopo, qualcuno spara colpi di arma da fuoco contro l’abitazione. Un raid ricondotto dagli investigatori all’intera faccenda. E a due anni di distanza, il racconto diventa emblematico, nella monumentale indagine sulla camorra della zona orientale.

mercoledì, 30 Novembre 2022 - 22:35
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