A Giffoni il doc ‘La Madre’ di De Simone sulle mamme criminali e quelle che ti salvano: Napoli lotta per i figli perduti


Le madri criminali e quelle che ti salvano, la cultura madre di ogni cambiamento e Napoli materna e matrigna si raccontano in un evento speciale a Giffoni Film Festival sabato 29 luglio.

L’evento internazionale ospiterà infatti l’anteprima del documentario della giornalista Amalia De Simone con un dibattito condotto dai 200 ragazzi protagonisti del festival. Il pubblico di giovanissimi potrà commentare le voci intercettate di alcuni protagonisti di fatti di sangue avvenuti a Napoli, figli e madri, mentre decidono della vita e della morte delle persone e la storia di alcune donne “speciali”, tra cui Laura Valente e Lucia Di Mauro Montanino.

Il documentario è ambientato in una parte del centro antico di Napoli che per anni è stato ostaggio di degrado e camorra. E in particolare, in questo fazzoletto di territorio patrimonio dell’Unesco, si sono affrontate bande ferocissime di ragazzi seminando terrore e morti innocenti. Sentire le loro voci autentiche che rimbombano nei vicoli e che parlano di rappresaglie, omicidi da compiere, modalità di vita indifferente a qualsiasi atrocità, è un racconto importante per decifrare la città. Nel doc ci sono le intercettazioni vere utilizzate nelle inchieste della direzione distrettuale antimafia di Napoli e quasi mai ascoltate.

In questi stessi luoghi c’è un portone giallo enorme che è quello di un museo di arte contemporanea che per un certo periodo, grazie ad una presidente attenta al contesto, Laura Valente (oggi non più in carica), è rimasto sempre aperto per la gente, quella stessa gente che fino a poco prima ignorava che lì ci fosse un museo. È il “Madre”, con di fronte una piazza di spaccio, poco più avanti l’officina dove fu freddato un innocente, con alle spalle il “vicolo della morte” e le strade delle cosiddette “stese”.
Ma cosa succede se i figli, i fratellini, le ragazzine del quartiere vengono accompagnati al museo dalle madri per passare le giornate? Succede che si aprono nuovi sguardi.

E così una madre, Lucia Di Mauro Montanino, che ha avuto suo marito assassinato da alcuni minorenni e ha avuto la forza di perdonare e “adottare” uno di questi ragazzi, per la prima volta in un documentario racconta la sua storia di perdono e alba. Lucia va a vedere cosa succede al di là di quel portone giallo ormai sempre aperto e incontra Laura Valente che mostra ragazzini che costruiscono scatole fotografiche e scattano immagini poetiche con un figlio del quartiere diventato fotoreporter, Mario Spada, o che costruiscono oggetti con il designer internazionale Armando Milani, o fanno le pizze con Ciro Oliva del quartiere Sanità, o ascoltano storie su integrazione e valore della diversità.

Tutto questo si intreccia con le storie feroci che accadono intorno. Le voci degli esponenti delle paranze dei bambini raccontano di agguati, le sorelle, le madri li istigano alla vendetta, all’eliminazione fisica dei loro avversari, a pianificare delitti correndo il rischio di uccidere anche chi non c’entra nulla con le loro misere faide. Dalle loro voci scopriamo che parlano anche dei morti innocenti come del meccanico Luigi Galletta, assassinato proprio a pochi passi dal Museo. Il padre di Luigi ci racconta di lui, del suo lavoro e di come è stato ammazzato per niente. Le intercettazioni restituiscono il senso di indifferenza per la vita e la morte delle persone e la bestialità del “male per il male”.

Tra le voci intercettate anche alcune del rione Sanità, quartiere sempre a ridosso del museo Madre, con madri che ordinano agguati e per la prima volta si sentono le parole di ragazzi che commentano l’assassinio di un altro ragazzo innocente, Genny Cesarano. Le frasi usate per descrivere l’accaduto sono scandite da risate, parolacce ed espressioni di una superficialità perfino troppo spietata e disarmante.

Il documentario ruota intorno alla parola Madre, che è il nome del museo ma sono le madri che, come abbiamo visto, possono essere istigatrici del male o via di salvezza per i propri figli e comunque le donne che spesso hanno in mano le sorti di certi quartieri.

C’è anche la storia di Anna, appena uscita dal carcere dopo 8 anni. Fuori ha ritrovato un figlio cresciuto senza di lei e ha affrontato la perdita di un altro figlio dato in adozione dopo il suo arresto. Nel suo quartiere i bambini confezionavano dosi di droga e spacciavano. Suo figlio aveva due anni quando lei vendeva bustine di cocaina nel suo basso per conto del clan. La “legge” l’ha punita per tutti gli altri ragazzini messi sulla strada.
Infine, l’ultima parola spetta ancora ad una donna, una che sarà madre e che (da quanto emerge dalle intercettazioni) invita il suo compagno, membro di un clan di giovanissimi, a provare a vivere una vita normale, a cercare un lavoro onesto, a uscire dalla spirale di violenza e paura.
Sfondo e protagonista di queste storie è Napoli e “il mare che non la bagna”, come scriveva Anna Maria Ortese e come si legge nell’installazione artistica che apre e chiude il doc, una città involontaria sempre in bilico tra l’abisso e la resurrezione. Una resurrezione che si compie solo se si restituisce l’infanzia e uno sguardo vivo e libero ai ragazzini che la popolano.

Regia e lavoro giornalistico sono della reporter Amalia De Simone (insignita dell’onorificenza di cavaliere al merito della Repubblica dal presidente Sergio Mattarella proprio per aver contribuito con la sua attività di giornalista di inchiesta alla lotta contro le mafie).

Fotografia, riprese e montaggio sono a cura di Simona Petricciuolo e di Amalia De Simone. Le musiche originali sono della cantautrice Assia Fiorillo che ha composto la canzone “La Madre”, colonna sonora del documentario, insieme con la De Simone con cui ha scritto il testo.

La Madre è stato selezionato tra i 20 eventi speciali del Festival di Giffoni insieme con titoli internazionali, tra cui Barbie di Greta Gerwig, “Stranizza d’amuri” di Giuseppe Fiorello e i Fantastici 5 con Roul Bova.

mercoledì, 26 Luglio 2023 - 11:45
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