Strage bus ad Avellino, l’Appello cancella le assoluzioni e condanna i dirigenti (di allora) di Autostrade | Le reazioni

strage bus Avellino
La strage del bus ad Acqualonga (foto Kontrolab)
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La sentenza di primo grado è stata ribaltata e chi protestava ieri oggi applaude, mentre chi ieri tirava un sospiro di sollievo oggi si indigna. Nel pomeriggio i giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Napoli hanno scritto una nuova pagina dell’iter processuale sulla strage del bus di Avellino. L’ex ad di Autostrade per l’Italia (Aspi) Giovanni Castellucci che fu assolto in primo grado si è ritrovato con una sentenza di condanna tra noce e collo: sei anni di reclusione per omicidio e disastro colposi in relazione alla morte delle 40 persone che viaggiavano sul bus precipitato, la sera del 28 luglo 2013, dal viadotto Acqualonga dell’A16, all’altezza di Monteforte irpino.

Il bus sfondò il guadrail e finì nella scarpata. In sede di requisitoria il sostituto procuratore generale Stefania Buda aveva sostenuto la sussistenza del nesso di causalità tra l’omessa sostituzione delle barriere e l’incidente. Una tesi che, a vedere i numeri del verdetto, ha trovato pieno accoglimento. A Castellucci, in particolare, era contestata la “violazione delle norme che garantiscono la circolazione autostradale in condizioni di sicurezza, di avere omesso di provvedere alla riqualificazione dell’intero viadotto Acqualonga dell’A16 con la necessaria sostituzione delle barriere di sicurezza con quelle marcate CE, in ragione della intervenuta non conformità normativa di quelle esistenti al momento del sinistro non adeguate ad una infrastruttura autostradale”.

Sei anni sono stati disposti anche per il dg dell’epoca Riccardo Mollo e per i dipendenti di Aspi Massimo Giulio Fornaci e Marco Perna. Riduzione di pena, rispetto al primo grado, per il dirigente di Aspi Nicola Spadavecchia e per il direttore di tronco di Aspi Paolo Berti: a ciascuno sono stati inflitti 5 anni di reclusione a testa. Rideterminate a tre anni di reclusione, invece, le pene per Gianluca De Franceschi (dirigente di Aspi), per Gianni Marrone (dipendente di Aspi) e per Bruno Gerardi (dipendente di Aspi). Tra i condannati vi è anche Gennaro Lametta, il proprietario del bus: i giudici lo hanno condannato a 9 anni a fronte dei precedenti 12 anni.
L’ha spuntata, dunque, la pubblica accusa. E il finale, questa volta, ha sollevato una reazione da parte dei familiari delle vittime di segno opposto a quella che si registrò in primo grado. Se all’epoca il giudice del Tribunale di Avellino incassò urla e indignazione, adesso la Corte d’Appello registra attestati di consenso. Dal fronte degli imputati, invece, si levano commenti di disappunto.

CASTELLUCCI: «GIUSTIZIA CONDIZIONATA DALL’ESIGENZA DI TROVARE UN CAPRO ESPIATORIO»
Castellucci affida a una nota il suo stupore: «La sentenza va contro il senso comune e i fatti già accertati in primo grado e confermato se ce ne fosse stato il bisogno, in secondo grado. Non posso togliermi dalla testa che questa sia una giustizia condizionata dalla esigenza superiore di trovare un capro espiatorio in presenza di tante vittime alle cui famiglie va, ancora una volta, il mio sincero e profondo cordoglio. Una giustizia alimentata da un flusso continuo di falsità e disinformazione». L’accusa ai giudici è netta. «Mi si imputa di non aver sostituito, io che ero Ad del Gruppo e non avevo alcuna conoscenza tecnica e responsabilità operativa, la barriera del ponte Acqualonga – osserva Castellucci – Eppure il consiglio di amministrazione aveva assegnato ai progettisti 138 milioni di euro per sostituire tutte le barriere laterali su 2200 km di tratte sulle quali insisteva il viadotto. Il progettista aveva deciso di non sostituire quella barriera perché ignaro del difetto occulto. E questo l’ha esplicitamente dichiarato in primo grado quando aveva affermato di aver preso autonomamente le sue decisioni su cosa lasciare in opera e cosa invece sostituire senza alcuna limitazione». E «tale dichiarazione era stata confermata sia dai progetti depositati che dalle dichiarazioni testimoniali. Si consideri poi che : a) che quella barriera New Jersey in calcestruzzo era al massimo livello prestazionale di contenimento come confermato dal perito del giudice e dal consulente del pm che ha disposto che potesse restare in sicurezza sull’altra carreggiata e che quella barriera sull’altra carreggiata è ancora in opera a 10 anni dalla tragedia; e b) che quel viadotto era stato oggetto di un intervento complessivo di manutenzione di milioni di euro solo 4 anni prima la tragedia e che non aveva evidenziato il difetto nascosto costituito da una corrosione di alcuni ancoraggi della barriera New Jersey per il ristagno di sale antigelo». Castellucci quindi si chiede: «Cosa avrebbe dovuto fare un amministratore delegato oltre dare risorse per riqualificare le barriere, riqualifica peraltro non richiesta dalle norme e totalmente volontaria? Sostituirsi al progettista e al committente per andare a verificare lo stato effettivo degli ancoraggi? Aspetto la motivazione della sentenza per darmi una risposta che ad oggi è impossibile dare».

GLI AVVOCATI DI CASTELLUCCI: «Incomprensibile»
Ci sarà certamente un terzo grado di giudizio, gli avvocati hanno annunciato ricorso per Cassazione. «Quella di oggi è a nostro avviso una sentenza incomprensibile», commenta il difensore di Castellucci, l’avvocato Alfonso Furgiuele. «In oltre 50 anni di esercizio della professione non ricordo che una sentenza di assoluzione, sorretta da una motivazione solida, approfondita e giuridicamente ineccepibile, sia stata ribaltata in appello nonostante gli argomenti in essa sostenuti fossero stati tutti confermati ed anzi rafforzati a seguito di una articolata e completa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; come invece è avvenuto in questo caso – aggiunge l’avvocato Furgiuele -. Pertanto, non riesco proprio a immaginare come sarà possibile per la corte di appello di Napoli redigere a sostegno della condanna una motivazione ragionevole, tale da poter ‘reggere’ nel giudizio di cassazione che sarà celebrato a seguito del ricorso che proporremo». «E’ una sentenza – osserva la penalista Paola Severino – del tutto sorprendente e totalmente distonica rispetto alle risultanze del dibattimento. L’ex amministratore delegato di Autostrade, infatti, aveva stanziato i fondi per la sostituzione di barriere su oltre 2200 km di carreggiata, comprendenti quelle presenti sul viadotto in questione. Nella fase esecutiva, che ovviamente non competeva all’ingegner Castellucci, si decise di non inserire la barriera presente sul tratto di Acqualonga tra quelli da rinnovare perché valutata adeguata e sicura, come confermato dal perito nominato dal Tribunale. L’ingegner Castellucci viene condannato dopo che il giudizio di primo grado ne aveva accertato l’innocenza. È difficile comprendere in cosa consisterebbe la colpa di Castellucci, se non quella di essere l’Ad dell’epoca».

L’AVVOCATO DI LAMETTA: «PAGA PER COLPE ALTRUI»
Polemica anche la valutazione dell’avvocato Sergio Pisani, che assiste l’imputato Gennaro Lametta, proprietario del bus: «Vicende gravi come queste offuscano inevitabilmente un sereno giudizio. Lametta poco prima dell’incidente, come abbiamo dimostrato, aveva condotto il bus in officina ove erano stati controllati i perni della trasmissione poi ceduta. Paga un errore umano altrui, le gravi omissioni di società autostrade e il sistema corruttivo che in quel periodo imperversava nella motorizzazione partenopea». A guidare il bus era il fratello di Lametta, che perse la vita nell’incidente.

L’INCIDENTE LA SERA DEL 28 LUGLIO 2013
Il terribile incidente si verificò intorno alle 20.30 di una domenica d’estate. Era il 28 luglio 2013. Dopo alcuni giorni in gita nei luoghi di Padre Pio, una comitiva di famiglie e amici stava tornando a casa a Pozzuoli. Mentre percorreva la discesa dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio di Monteforte Irpino, il bus guidato da Ciro Lametta, fratello del proprietario dell’agenzia Mondo Travel che aveva organizzato il viaggio, cominciò a sbandare dopo aver perso sulla carreggiata il giunto cardanico che garantisce il funzionamento dell’impianto frenante. Dopo aver percorso un chilometro senza freni, ondeggiando a destra e sinistra, tamponando le auto, una quindicina, che trovava sul percorso, l’autista del bus – un mezzo che aveva percorso oltre un milione di chilometri – nel tentativo disperato di frenare la corsa si affiancò alle barriere protettive del viadotto “Acqualonga” che cedettero facendo precipitare il pullmann nel vuoto da un’altezza di 40 metri. Trentotto persone morirono sul colpo, due nei giorni successivi. Dieci i superstiti.

giovedì, 28 Settembre 2023 - 22:21
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