Visco e i nodi dell’Italia: «Scarsa istruzione, inverno demografico, pochi investimenti e circolo vizioso nel lavoro»

di Laura Nazzari

L’Unione europea è «impreparata a mettere in atto una strategia adeguata a contrastare il cosiddetto inverno demografico», ossia l’invecchiamento della popolazione. Mentre l’Italia paga anche lo scotto di misure inadeguate sul fronte dell’investimento in innovazione, ricerca e istruzione, determinando uno scarso interesse delle imprese a investire nel settore tecnologico.

E’ l’analisi amara dell’ex governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nel corso del ungo intervento al Feuromed, il Festival euromediterraneo dell’economia. Visco ha toccato alcuni aspetti dolenti dello sviluppo dell’Italia, lamentando in buona sostanza una risposta non all’altezza sul piano delle riforme. C’è anzitutto il tema dell’invecchiamento della popolazione, che «porta con sé questioni rilevanti di sostenibilità finanziaria per pensioni e assistenza, con una forte riduzione della popolazione in età attiva». Per fare fronte all’inverno demografico e dunque per compensare la «forte riduzione della popolazione in età attiva», ha spiegato Visco, «bisognerà accrescere la partecipazione al lavoro, innalzare l’età pensionabile e aumentare l’afflusso di lavoratori stranieri».

Altra nota dolente, ha osservato Visco, è «il gap tecnologico tra noi e gli Stati uniti che rischia di crescere e che bisogna contrastare»: l’Europa e l’Italia devono «investire rapidamente nell’innovazione tecnologica» per colmare il «divario tecnologico che esiste oggi con gli Stati Uniti e in prospettiva con la Cina». «Non solo in Italia ma nel complesso nei paesi europei, dopo essere arrivati in ritardo sulle tecnologie delle informazioni e delle comunicazioni, stentano ad emergere in investimenti in tecnologie trasversali, cioè quelle di utilizzo diffuse nei vari settori della società», ha aggiunto Visco. Non è migliore, secondo Visco, il quadro che – sul fronte italiano – emerge da scuola e istruzione. «Nonostante il ripetuto richiamo ad attuare un deciso e decisivo investimento nella scuola, nella conoscenza e nella ricerca, si è finiti con il destinare le limitate risorse pubbliche soprattutto in sussidi con ripercussioni importanti sul nostro debito pubblico», ha detto Visco. L’ex governatore della Banca d’Italia ha quindi ricordato che «gli edifici scolastici sono molto spesso obsoleti, mentre la scuola dovrebbe offrire ambienti accoglienti, all’altezza del ruolo. Questo è cruciale per evitare abbandono scolastico che è particolarmente forte».

Male anche per quanto riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo che, ha sottolineato Visco, «sono troppo bassi». «Basso è il numero di ricercatori, 6 contro 15 della media Ocse mentre è elevato il numero di ricercatori italiani in altri paesi. Siamo sottodimensionati rispetto al nostro peso economico», ha aggiunto. Visco ha poi posto l’accento sullo spinoso «circolo vizioso tra domanda e offerta»: «Le imprese potrebbero avere percepito una qualità dell’istruzione mediamente scarsa e quindi potrebbero aver reagito con un’offerta generalizzata di salari bassi, che a loro volta non si sarebbero dimostrati sufficienti a promuovere maggiori investimenti in istruzione da parte delle famiglie degli studenti. – ha spiegato -. Le difficoltà nel reperire le competenze adeguate sul mercato del lavoro potrebbe avere spinto le imprese a consolidare la loro scarsa propensione a investire in tecnologie e in questo modo riducendo la necessità di manodopera qualificata. Le basse remunerazioni e la scarsa domanda di manodopera qualificata, sono tra i motivi che spingono gli italiani più qualificati a emigrare». A tal proposito Visco ha ricordato che «tra il 2011 e il 2021 i giovani che hanno trasferito la residenza sono stati oltre un milione a fronte di meno della metà rientrati in Italia. Sarebbero usciti dal Mezzogiorno oltre 150mila giovani laureati, è un punto su cui riflettere. Richiede cambiamento del tessuto produttivo per riportarli in Italia».

Quadro nero sul fronte degli investimenti: «Per l’Italia contribuisce il basso livello di investimenti in ricerca del settore privato: questo dipende da ridotta presenza di imprese in grado, per dimensioni e capacità manageriali, di dotarsi delle competenze e delle risorse necessarie per mantenere i costi fissi dell’attività di ricerca ma anche di poter incorporare la ricerca che viene prodotta fuori dal Paese e fuori dall’Europa – ha detto Visco -. Anche per quanto riguarda le risorse pubbliche l’impegno è modesto: mezzo punto del Pin, all’incirca la metà del livello della Germania».

Se si guarda al Sud Italia, la situazione è ancora più sconfortante: «Con eccezione della Campania, particolarmente basse sono gli investimenti in ricerca e sviluppo nelle regioni meridionali», ha aggiunto Visco. L’investimento in conoscenza complessiva da parte delle imprese, ha spiegato l’ex governatore di Banca d’italia, «è ben sotto alla media dei principali dei Paesi avanzati e il motivo alla base lo rinveniamo nel basso numero di ricercatori: ne abbiamo 6 ogni 1000 occupati, nella media Ocse ne troviamo dieci» e «anche il numero dei brevetti rispecchia la carenza di investimenti e si attesta a circa la metà dei Paesi dell’Ocse». «Non siamo un Paese a basso reddito e quindi – ha continuato Visco – rispetto al nostro peso economico siamo sottodimensionati per risorse impiegate nella ricerca. Questo nuoce alla capacità di creare prodotti nuovi e a più alto valore aggiunto ma anche di innovare e rendere più efficienti i processi produttivi».

giovedì, 18 Aprile 2024 - 20:02
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