Avvocati indagati per aver preso soldi in contanti dal cliente, scontro Coa-procura: lettera a Nordio


Un nuovo scontro. Con gli avvocati che chiamano in causa direttamente il ministero della Giustizia. A Milano l’Ordine degli avvocati alza la voce contro la procura lamentando «forte apprensione» per un’iniziativa, di natura penale ovviamente, che ha travolto due legali. Antonio Buondonno e Matteo Murgo (bolognese di 55 anni, con origini pugliesi), questi i nomi dei difensori, sono stati indagati per ricettazione perché – è la contestazione – hanno percepito in contanti, e suddivisa in quatto tranche, il compenso par l’incarico di difesa pur sapendo, è l’appunto della procura, che il denaro ricevuto fosse di provenienza illecita.

Il cliente è Baris Boyun, il boss della mafia turca che Buondonno e Murgo avevano assistito nel procedimento di estradizione, rigettato dalla Corte d’appello di Bologna. La procura della Repubblica di Milano aveva chiesto anche l’interdizione dall’esercizio della professione ma il gip ha rigetto l’istanza, perché «l’eventuale consapevolezza della qualità criminale del proprio debitore – già insufficiente secondo l’opinione della Suprema Corte in relazione ad un normale rapporto obbligatorio – deve essere considerata irrilevante. Se così non fosse, infatti, il difensore non potrebbe mai esigere il pagamento degli onorari dal proprio assistito».

Inutile dire che il fatto ha infiammato gli animi. E l’Ordine degli avvocati di Milano ha preso posizione con una delibera trasmessa anche al ministero della Giustizia. Questa «discutibile iniziativa investigativa” dei pm “è stata motivatamente respinta dal Gip, il quale – spiega il Coa – ha negato una misura cautelare interdittiva, che avrebbe avuto come effetto immediato l’impossibilità, per gli avvocati, di svolgere il mandato e, dunque, avrebbe impedito all’indagato di avvalersi della difesa tecnica liberamente scelta». L’ordinanza del gip, si legge ancora nella nota, «ha puntualmente (e giustamente) rimarcato la peculiarità del rapporto professionale tra avvocato e assistito, nonché la necessità di tutelare il diritto di difesa, evidenziando, altresì, il rischio di una compressione di tale diritto ove i rapporti economici tra indagato e difensore fossero scandagliati sotto la lente, particolarmente penetrante, della ricettazione e dell’incauto acquisto». Tra l’altro, gli avvocati fanno notare che i due legali da alcuni media sono stati «addirittura falsamente indicati come ‘arrestati’». L’Ordine auspica che «sia sempre garantito il diritto costituzionale di difesa, avendo, peraltro, sempre tutelato l’autonomia e l’indipendenza di ogni iniziativa investigativa».

Con una nota è intervenuta anche la Camera penale di Milano spiegando che «non possiamo dirci sorpresi dell’ennesima ferita inferta alle garanzie processuali». 1Avevamo denunciato, nella vicenda Pifferi – scrivono i penalisti milanesi – un’impostazione culturale che sospetta del difensore, lo vorrebbe docile nell’esercizio del proprio ruolo e lo inquisisce a processo in corso. Il tutto con il corredo di spigolature a mezzo stampa – proseguono – che travolgono la presunzione d’innocenza e contaminano le regole per la formazione della prova». «La notizia di ieri, due colleghi destinatari di una richiesta di misura interdittiva per un’ipotizzata ricettazione, legata alla ricezione del compenso professionale – si legge ancora nella nota – è l’ennesimo salto di qualità». Il vaglio «critico operato dal gip, che ha motivatamente negato le misure interdittive – scrive la Camera penale – restituisce ragionevolezza alle norme e ai principi, ma non rende meno attuale l’allarme”.

giovedì, 23 Maggio 2024 - 19:14
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