Il Pd sconfitto offende il Sud e si attacca alle fake news | L’editoriale

di Manuela Galletta

Quando arrivi sulle bacheche Facebook dei militanti del Pd (noti, notissimi e meno conosciuti), ti viene voglia di spegnere il computer e cambiare paese. Il Pd non sa perdere, è chiaro. Peggio ancora: non è capace di guardarsi allo specchio e ammettere gli errori. E, se esiste un peggio del peggio, il Pd è riuscito anche nell’impresa di superarsi: adesso scarica le colpe dell’insuccesso sugli avversari e, cosa ancor più grave, sugli elettori, cavalcando un triste e offensivo luogo comune che sino a pochi mesi fa ricacciava (almeno in pubblico). Il pensiero che, dal voto di domenica scorsa,  rimbalza da una bocca all’altra di quasi tutti gli esponenti del Pd (per fortuna qualche voce critica davvero esiste ancora), è più o meno questo: il Sud ha votato il Movimento 5Stelle per via del reddito di cittadinanza; il Sud ha votato i grillini perché, invece di lottare e sudare per guadagnarsi il pane e riscattarsi da un passato e da un presente di arretratezza in cui (anche) i politici l’hanno confinato, preferisce la comoda e sicura strada dell’assistenzialismo. Già, il Sud. Quello stesso Sud che sino alla disfatta del Referendum del dicembre 2016 era stato per Matteo Renzi e per il Pd un prezioso bacino di voti; quello stesso Sud per che Matteo Renzi era diventato una seconda casa. Quello stesso Sud, Napoli in particolare, cui Matteo Renzi aveva dato l’impressione di guardare con estrema fiducia e non come a un popolo di parassiti. E’ stata sufficiente la batosta alle urne per far cambiare idea a lui e a una larga fetta del partito, per spingere i piddini a dimenticare le eccellenze imprenditoriali di Napoli che in occasione delle visite dell’ex premier hanno aperto le porte e teso la mano, e che lui, Renzi, non ha mai smesso, pubblicamente, di elogiare. Adesso, invece, per buona parte del Pd il Sud è solo un’accozzaglia di gente che vuole vivacchiare sulle spalle dello Stato. O, perché anche questo è stato detto, di «persone che non ci hanno capiti». Già, la colpa del fallimento, in casa Pd, è sempre di qualcun altro. Mai di se stesso. E’ colpa del reddito di cittadinanza, di una promessa tra l’altro vincolata al riordino (chissà se mai possibile) dei centri dell’impiego e all’accettazione di qualunque posto di lavoro si presenti pena la perdita del lauto ‘bonus’. E’ colpa di un popolo credulone, si vuole far passare. E’ colpa di un popolo che, tutto all’improvviso, si scopre essere povero. E pensare che fino a pochi giorni prima del voto, il Pd s’andava appuntando in petto la medaglia del Pil in crescita (lievissima, in verità), dell’economia che riparte, del numero crescente dei contratti di lavoro (a tempo determinato e frutto di un lavoro nero emerso solo grazie agli incentivi sugli sgravi fiscali validi per la durata di tre anni). Quindi, fino a domenica c’era, tutto sommato, un Paese che sì soffriva, ma non troppo. Da lunedì invece il Sud è apparso all’improvviso povero e stupido. Facile a farsi abbindolare dal primo affabulatore di turno. Come se i 5Stelle siano stati i primi in assoluto, nella storia della politica, a promettere manovre di sostegno economico per aiutare chi non arriva a fine mese: il reddito di inclusione devono averlo fatto in un Paese diverso dall’Italia; la pensione sociale anche; gli 80 euro in busta paga anche; così come i centinaia di bonus infilati nell’ultima legge di stabilità licenziata dal Governo Berlusconi. La sconfitta del Pd è colpa del Sud. Un Sud a caccia di soldi facili, come nella giornata di giovedì qualcuno ha pure provato a raccontare, rilanciando la notizia di persone in coda fuori ai Caf pronte a battere cassa dopo il voto dai ai grillini. Non era vero niente. O sarà stato vero in parte. Ché le persone più ‘semplici’, per dirla senza offendere nessuno, sono dappertutto, e magari qualcuno avrà pure creduto nell’automatismo. Così come sono dappertutto i ‘lazzaroni’, che davvero avranno infilato nell’urna la preferenza a cinque stelle per andare all’incasso, alzando in tal modo l’asticella del successo pentastellato. Ma la verità è che il voto per il Movimento è stato trasversale, è arrivato dai più disperati e da facoltosi imprenditori. La verità è che lo scatto delle file interminabili di parassiti e/o disperati fuori ai Caf è solo un trucco da photoshop mediatico. E la bolla è scoppiata presto.
Ciò che invece resta è la presunzione di un partito che non sa guardarsi dentro. O, peggio ancora, che non vuole ammettere all’esterno di aver sbagliato e così accusa. Accusa gli elettori, quelli che fino a dicembre del 2016 erano dalla sua porte e poi gli hanno voltato le spalle. Accusa gli avversari, arrivando a sbeffeggiarli invece di riservare loro, come fa un guerriero vero, l’onore delle armi. Alberto Lo Sacco, scelto da Renzi come la figura di garanzia nella faida tra correnti a Napoli, pubblica su Facebook (e non è stato il solo piddino a farlo) una foto ritoccata di Di Maio sulla quale campeggia la scritta «Luigi è Gennaro Di Maio, cugino di Luigi Di Maio. E’ stato assunto come portaborse al Senato e guadagna 23mila euro al mese. Condividi sei sei indignato». Roba da bambini delle elementari.

sabato, 10 Marzo 2018 - 13:47
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