Dap, arriva il magistrato Dino Petralia: Bonafede sceglie come capo una toga antimafia per spegnere le polemiche

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Il magistrato Dino Petralia

Fuori Francesco Basentini, arriva Dino Petralia. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha un nuovo capo e, come il precedente, anche Petralia è un magistrato. Un magistrato che ha legato la sua attività alle indagini contro la criminalità siciliana.

Classe 1953, Petralia ha lavorato come giudice a Trapani, a Sciacca dove si è occupato del primo processo contro le cosche, poi a Messina. Nel 1996, Petralia sveste i panni del giudice e indossa quelli di pubblico ministero: diventa procuratore di Sciacca, dove resta in carica per 10 anni. Nel 2006 viene nominato consigliere del Consiglio supremo della Magistratura. Al termine del mandato di 4 anni, rientra in Sicilia dove esercita come pubblico ministero a Marsala per poi approdare a Palermo nel 2013 come procuratore aggiunto. Infine la promozione a procuratore generale a Reggio Calabria. Un incarico al quale avrebbe potuto fare seguito la nomina a procuratore di Torino: Petralia si era candidato per ricoprire il posto che fu di Armando Spataro ma poi a ritirato la domanda, perché il suo nome era spuntato fuori dalla famosa inchiesta di Perugia sul tentativo del pm romano Luca Palamara di condizionare la nomina dei capi di alcuni uffici di procura. Petralia era un favorito da Palamara, ma – come poi emerso dalle indagini – non sapeva nulla del gradimento di Palamara verso la sua persona e nulla aveva a che fare con gli intrighi del pm romano. Tuttavia per evitare strumentalizzazioni, ha preferito ritirare la domanda restando a Reggio Calabria.

Adesso c’è il nuovo incarico. Un incarico per lui importante e per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che non ha speso una sola parola sulle dimissioni di Basentini sino a questa mattina presto, una nomina dal forte valore simbolico. L’addio di Basentini è consequenziale alla scarcerazione del boss Pasquale Zagaria, che ha rinvigorito le polemiche sulla supposta facilità con la quale i boss, in questo periodo di emergenza sanitaria, sono riusciti ad uscire dal carcere. Polemiche strumentali, dal momento che le scarcerazioni sin qui disposte dai magistrati di Sorveglianza sono state ancorate tutte a sacrosanti principi costituzionali di tutela della salute e sono intervenute o in presenza di residui pena risibili da scontare o in presenza, nel caso di Zagaria, di una imperdonabile inerzia da parte del Dap nel rispondere alle sollecitazioni del magistrato di Sorveglianza.

Tuttavia, la polemica montata da buona parte della politica e cavalcata da numerosi magistrati dell’Antimafia ha incanalato la discussione nel binario sbagliato delle ‘concessioni’ ai boss, finendo così per mandare in tilt Alfonso Bonafede che non vuole passare come il ministro che resta a guardare impassibile ai mafiosi che tornano a casa. Ecco, dunque, che per il ‘nuovo’ Dap vi era bisogno di un segnale. L’arrivo di un magistrato antimafia rimarca dunque la percezione che il Guardasigilli, e il Governo tutto, sia contro le scarcerazioni facili. In questo solco si inserisce anche la nomina, avvenuta pochi giorni fa, del vicecapo del Dap, il 38enne Roberto Tartaglia, napoletano d’origine ma siciliano d’adozione: prima di diventare nel 2019 consulente della Commissione antimafia guidata dal grillino Nicola Morra, Tartaglia è stato pm della Dda a Palermo dove ha seguito, insieme a Nino Di Matteo, il processo sulla trattativa ‘Stato-mafia’.

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sabato, 2 Maggio 2020 - 12:05
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