Ucciso per errore nella faida di Scampia, la Cassazione annulla di nuovo l’ergastolo al boss Marco Di Lauro

Il boss Marco Di Lauro catturato dopo 14 anni di latitanza (foto Kontrolab)
di Manuela Galletta

Il processo d’appello al boss di Secondigliano Marco Di Lauro per l’omicidio dell’innocente Attilio Romanò è da rifare. Ancora una volta. La quinta sezione della Corte di Cassazione ha, infatti, annullato la condanna all’ergastolo disposta l’11 novembre del 2019 dalla Corte d’Assise d’Appello di Napoli (presidente Rosa Romano, a latere Taddeo) dopo che un’altra sezione degli ‘ermellini’, la prima, aveva rimandato indietro il primo processo d’appello.

Attilio Romanò
Attilio Romanò, vittima innocente della camorra

Solo il deposito delle motivazioni della sentenza chiarirà le ragioni della bocciatura del verdetto di poco più di un anno fa. Un passaggio nodale, soprattutto per la procura generale e per i giudici che dovranno (ri)maneggiare il delicato caso. Quel che è certo è che al centro dell’ennesimo scontro tra accusa e difesa ci sono sempre le dichiarazioni dei pentiti, il solo materiale sul quale poggia la contestazione di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione, dalle armi e dalla matrice camorristica, mossa all’ormai ex primula rossa di Secondigliano.

Nel ricorso presentato avverso la condanna all’ergastolo dell’11 novembre 2019, gli avvocati Gennaro Pecoraro e Andrea Imperato hanno contestato il peso dato alla Corte d’Assise d’Appello ai pentiti a dispetto delle indicazioni valutative offerte dalla Cassazione che aveva bocciato la prima sentenza di condanna in appello. Gli ermellini avevano infatti messo in discussione il pentito Lombardi e avevano evidenziato una non sovrapposizione, in alcuni punti, dei narrati di Lombardi e di Carlo Capasso (pentito). Inoltre vi era stata una stroncatura anche dei pentiti Gennaro Puzella e Antonio Accurso, gli ultimi collaboratori di giustizia (in ordine di tempo) ad essersi aggiunti agli accusatori di Marco Di Lauro.

La precedente Corte d’Assise d’Appello, invece, nel motivare la conferma dell’ergastolo ha restituito credibilità a Lombardi nella parte in cui la ‘gola profonda’ recupera la memoria dopo avere visto la tuta di Talotti (un affiliato al clan), dicendo che non è implausibile la riattivazione di un ricordo a seguito di una particolare ‘stimolazione’. Questo è stato uno dei punti sui quali gli avvocati Pecoraro e Imperato hanno battuto forte durante la nuova discussione in Cassazione.

La morte di Attilio Romanò è il solo evento omicidiario per il quale Marco Di Lauro ha subito un processo. L’accusa relativo al delitto di Ciro Maisto è invece ancora nella fase delle indagini preliminari. Attilio Romanò venne ammazzato il 24 gennaio del 2005: stava lavorando in un negozio di telefonia mobile quando un killer entrò nel locale e gli sparò al bruciapelo senza lasciargli scampo. Il killer credeva di avere di fronte il titolare del negozio, Salvatore Luise, la cui unica colpa era l’essere il nipote del boss scissionista Rosario Pariante che non poteva essere toccato direttamente perché detenuto in carcere. Dell’errore di persona si venne a sapere solo poche ore dopo, quando arrivarono le prime notizie dei media. A sparare fu Mario Buono, detto ‘topolino’, che è stato condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo. Più complesso, invece, il quadro relativo al mandante.

La Direzione distrettuale antimafia ipotizzò un doppio mandato, mettendo sotto accusa sia Cosimo Di Lauro che il fratello Marco. Cosimo, che nella fase iniziale della prima guerra di camorra di Scampia e Secondigliano era al comando del clan, era stato arrestato pochi giorni prima della morte di Attilio Romanò: i pm, sulla scorta dei racconti dei pentiti, si convinsero che Cosimo avesse lasciato al fratello Marco, cui era passato il testimone del comando e che nel frattempo s’era reso latitante, una lista di nemici da uccidere; e s’erano convinti che Marco si fosse determinato ad eliminare i bersagli indicati per depistare gli inquirenti e convincerli che Cosimo non potesse essere responsabile dei primi morti dal momento che, con lui in prigione, la scia di sangue non s’era fermata. Tuttavia questa tesi accusatoria iniziò a scricchiolare già in primo grado: Cosimo venne assolto e Marco condannato all’ergastolo.

A questo punto la Dda rinunciò a perseguire Cosimo Di Lauro (la sentenza non fu impugnata e l’assoluzione divenne definitiva), puntando tutto su Marco Di Lauro. Da qui è scaturito l’articolato iter giudiziario: condannato anche in Appello al carcere a vita, ‘F4’ (così era chiamato Marco nei libri contabili del clan, essendo il quarto figlio di Paolo Di Lauro) ottenne l’annullamento del verdetto in Cassazione. Nuovo processo di secondo grado, che l’11 novembre del 2019 ha però portato all’ennesima condanna all’ergastolo e oggi nuovo processo in Cassazione (dopo il ricorso della difesa) che ha annullato il verdetto e disposto un’altra lettura degli atti in sede di Appello. Un braccio di ferro nel mezzo del quale si snoda la storia processuale del boss di Secondigliano in relazione a due accuse di associazione di stampo mafioso e due di traffico di droga per le quali ‘F4’ è stato condannato in tre diversi procedimenti: l’avvocato Gennaro Pecoraro è riuscito ad ottenere dal giudice per le indagini preliminari Campoli una riunione di tutti i procedimenti e dunque un abbattimento della somma delle pene che arrivava a 43 anni. Di Lauro dovrà scontare complessivamente 21 anni di reclusione. Sempre che una delle accuse per omicidio con le quali è chiamato a fare i conti non lo inchiodi in carcere a vita.

mercoledì, 13 Gennaio 2021 - 21:05
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