Verbali Amara e ‘Loggia Ungheria’, chiesta la condanna di Davigo. I pm: «Paladino della giustizia che viola la legalità»

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L'ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo

«Si erge a paladino della giustizia per tutelare la legalità, ma l’unica legalità violata è nel salotto di casa sua, dove sono usciti dal perimetro investigativo atti coperti da segreto che dopo un po’ di tempo sono finiti sui giornali».

Dinanzi al Tribunale di Brescia, i pubblici ministeri Donato Greco e Francesco Milanesi rivolgono parole di dura e sprezzante censura nei confronti di Piercamillo Davigo. Magistrato in pensione, Davigo è imputato per rivelazione di segreto d’ufficio in riferimento ai verbali, coperti da segreto istruttorio, dell’avvocato Piero Amara circa l’esistenza della cosiddetta ‘loggia Ungheria’. Ieri i due pm hanno chiesto la condanna di Davigo a un anno e 4 mesi di reclusione, con pena sospesa, e hanno accompagnato la proposta con forti valutazioni sull’operazione del pm di Tangentoli. Chieste le attenuanti generiche per «l’irreprensibile comportamento processuale» e per «avere spiegato con grande chiarezza le ragioni del proprio operato, contribuendo alla ricostruzione del fatto».

La storia, si ricorderà, comincia quando il pm di Milano Paolo Storari, impegnato a raccogliere le dichiarazioni di Amara nel caso Eni, teme che in procura ci sia una sorta di immobilismo da parte dei suoi superiori circa le dichiarazioni di Amara sulla ‘loggia Ungheria’, un’associazione segreta – a dire di Amara – il cui obiettivo era condizionare nomine politiche e giudiziarie. Storari contatta Davigo, che – all’epoca dei fatti – è membro del Consiglio superiore della magistratura, gli esprime le proprie perplessità e – dopo avere avuto rassicurazioni da quest’ultimo – gli gira i verbali secretati di Amara. Davigo disse a Storari che a lui, in quanto membro del Csm, il segreto di ufficio non fosse opponibile. Circostanza non vera a parere della procura di Brescia. Per i pm Davigo avrebbe detto «il falso» a Storari (assolto in via definitiva dall’accusa di concorso in rivelazione di segreto d’ufficio) per indurlo a farsi consegnare i verbali, senza contare che le notizie al Consiglio dei ministri «devono passare da un canale ufficiale» e non «nel corso di un colloquio con un singolo tramite la consegna di una chiavetta Usb».

Da questo momento in poi Davigo parlò di quei verbali con numerose persone alimentando il «chiacchiericcio»: scelse «una via privata alla soluzione di problemi pubblici», anziché rivolgersi alla procura generale, perché animato dalla «sfiducia personale nei confronti del magistrato che svolgeva tali funzioni». «Sarebbe come se un evasore fiscale dicesse “non mi fido di chi gestisce i soldi pubblici e preferisco gestirli io”», ha detto Milanesi. In particolare ad alimentare il «chiacchiericcio» di Davigo fu il nome – emerso dai verbali di Amara – del consigliere del Csm Sebastiano Ardita che sino a quel momento faceva parte della stessa corrente di Davigo, Autonomia & Indipendenza. Ardita è parte civile e il suo legale, intervenuto dopo i pm, ha evidenziato come «l’unico fine» dell’ex magistrato di Mani Pulite non fosse «la giustizia o salvaguardare le indagini, ma abbattere Ardita». Si torna in aula il prossimo 20 giugno per le arringhe dei difensori Francesco Borasi e Domenica Pulitanò.

mercoledì, 14 Giugno 2023 - 22:44
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