Roma, mazzette per i lavori nel Palazzo di Giustizia: tartufi e case ristrutturate per corrompere funzionari pubblici, 20 misure

Tribunale di Roma

Un giro di corruzione all’interno del Palazzo di Giustizia di Roma finalizzato a condizionare l’assegnazione degli appalti relativi ai lavori interni alla cittadella giudiziaria della Capitale.

E’ uno scenario disarmante quello tratteggiato dall’inchiesta coordinata dalla procura di Roma e condotta dalla Guardia di Finanza che stamattina sono sfociati nell’esecuzione di 20 misure cautelari emesse dal gip Anna Maria Gavoni del Tribunale capitolino. Quattro indagati sono finiti in carcere: si tratta di due funzionari pubblici (Luigi Antonio Fazzone e Stefano Bravi, rispettivamente dirigente e geometra del Provveditorato interregionale delle Opere pubbliche) e due imprenditori, tra i quali Franco De Angelis. Dieci indagati sono stati sottoposti ai domiciliari, mentre l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria è scattato per altre sei persone.

In totale nella rosa dei 20 indagati ci sono otto funzionari pubblici in servizio presso il Provveditorato Interregionale delle opere pubbliche del ministero delle Infrastrutture, il Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria, l’Ater, l’Istituto centrale di formazione per il personale della giustizia minorile e l’Ufficio per i servizi tecnico-gestionali del ministero dell’Interno e 12 imprenditori. I lavori finiti sotto la lente di ingrandimento della Finanza sono quelli assegnati dal 2013 al 2016 con procedura d’urgenza, e mai con quella competitiva: tra questi lavori per 103mila euro per il rifacimento in tribunale (a piazzale Clodio) del camminamento che collega le celle dei detenuti alle aule di udienza; lavori per quasi 400mila euro per la sistemazione degli impianti di climatizzazione e antincendio presso gli uffici della corte d’appello in via Giulio Cesare; 115mila euro legati alla ristrutturazione dei servizi igienici, con eliminazione delle infiltrazioni d’acqua, oltre alla compartimentazione della sala Ced e alla messa a norma della centrale termina del ministero della Giustizia, del Casellario giudiziario; 144mila euro per eliminare l’infiltrazione di acqua piovana in un primo tratto del camminamento che dalle celle di sicurezze portava alle aule di udienza del tribunale; 58mila euro destinati all’adeguamento dei lavori delle ex celle ad archivio presso la corte d’appello in via Romeo Romei.

Secondo quanto ricostruito dal nucleo speciale anticorruzione della Guardia di Finanza, i lavori venivano eseguiti da uno stesso imprenditore, Franco De Angelis, benché, formalmente, risultavano assegnati a diverse società. Ciò sarebbe stato possibile – è la tesi della procura – grazie ad un accordo corruttivo tra imprenditori e funzionari pubblici. Questi ultimi, per venire meno ai loro doveri, beneficiavano di lavori di ristrutturazione degli appartamenti, condizioni vantaggiose nell’acquisto di immobili, sponsorizzazioni per trasferimenti d’ufficio, oppure assunzioni di familiari. C’era anche chi non ha disdegnato la consegna di tartufi, la messa a disposizione di un camion per il trasporto di materiale, il regalo di uno smartphone.

Ma vi è di più: la Finanza ha scoperto anche che l’imprenditore ‘beneficiario’ dei lavori aveva fornito una falsa data di nascita, perché altrimenti gli sarebbe stato proibiti qualsiasi partecipazione all’assegnazione di appalti. Franco De Angelis, titolare dell’omonima società di costruzioni e di un’altra a lui riconducibile, era già finito ai domiciliari già il 29 dicembre 2015 nell’ambito di un’altra inchiesta e da questa mattina in carcere. L’uomo, per apparire ‘pulito’ e non gravato da procedimenti, si presentava come nato il 12 giugno del 1951, mentre invece era nato nel 1955. Non solo: l’uomo avrebbe anche presentato una falsa autocertificazione sulla ditta. La sua ‘doppia identità’ ha fornito lo spunto agli inquirenti per il nome di battaglia dell’inchiesta, denominata ‘Alter ego’.

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giovedì, 21 Novembre 2019 - 13:16
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