Il Coronavirus ferma i matrimoni, boom di disdette anche da maggio a luglio: in fumo business da 40 milioni l’anno


Sposarsi sfidando il Coronavirus o rimandare tutto di un anno? C’è tutto un mondo che in tempi di emergenza sanitaria deve ripensarsi e pensare al futuro in un’ottica diversa. E’ il settore che ruota attorno ai matrimoni. Le cerimonie in programma ad aprile e maggio sono ormai saltate. Tutto rinviato. Chi aveva prenotato le chiese e i ristoranti ha disdetto. Lo ha imposto il lockdown. Lo hanno imposto i divieti stringenti di assembramento e pure di chiusura delle chiese limitatamente alla celebrazione delle messe (i luoghi di culto restano aperti per consentire alle persone di recarsi a pregare).

Ma adesso il rebus ruota attorno ai mesi che verranno: quelli di giugno, luglio e settembre. I mesi più gettonati e richiesti dai futuri sposi. I mesi del sold out, dove per sposarsi – soprattutto al Sud – si deve prenotare un anno o addirittura due anni prima per riuscire ad assicurarsi il giorno e la location preferiti. Dal 3 maggio, con buona probabilità, si ritornerà gradualmente alla normalità, ma il pericolo di contagio sarà tutt’altro che alle spalle. Si dovrà convivere con il virus e dunque bisognerà osservare regole di distanziamento sociale ferree. Proprio questa prospettiva sta spingendo molti promessi sposi a decidere di rinviare le nozze. Il rischio è che in chiesa si debba andare tutti con le mascherine e che le regole del distanziamento sociale imposto anche seduti ai tavoli possa rendere la cerimonia non una festa ma un momento di forte tensione. Non solo: c’è tanta incertezza anche sugli spostamenti all’estero. I novelli sposi raggiungono mete esotiche per la luna di miele o comunque altri continenti per vivere e scoprire nuove realtà approfittando dell’importante viaggio. Impossibile, adesso, muoversi. E non solo per via delle restrizioni in Italia. Tutti i Paesi sono stati colpiti dall’epidemia e in tutti i Paesi vige la chiusura delle frontiere. Né, allo stato, è dato sapere come e quando si riapriranno i confini e come si regolerà ogni singolo Stato. Il rischio è sposarsi nonostante tutto e poi rimanere a casa.

In molti hanno già disdetto, tanti altri si sono concessi del tempo per capire il da farsi. Con tutte le conseguenze del caso. Chi rimanderà il matrimonio al prossimo anno, correrà il rischio di dovere cambiare anche struttura: molti locali hanno prenotazioni fatte due anni prima e così nel 2021 ci si potrebbe trovare di fronte ad un accavallamento di domande. Ma questo, per i titolari delle strutture, significherà avere perso definitivamente il cliente.

Ma chi lavora nel settore è scettico e teme che da maggio a settembre salteranno tutti i matrimoni prenotati e con loro tutti gli incassi. Incassi che abbracciano più realtà: i ristoranti, i fiorai, i fotografi e gli atelier dove si vendono abiti per la sposa e per lo sposo, i negozi di bomboniere. Stiamo parlando, in tutta Italia, di un business di circa 40 miliardi di euro l’anno. Sarà tutto fermo. La fiera per le spose a Milano è stata prudentemente rimandata a settembre, ma tra i singoli addetti ai lavori, in molti si chiedono cosa fare da qui a sei mesi per non chiudere l’attività. Come lo stilista napoletano Gianni Molaro che «a partire dal mese di aprile fino a dicembre, aveva 200 matrimoni su cui lavorare per gli abiti, tutti ora drammaticamente in sospeso». «Fino a fine anno – spiega Molaro – avevo in programma di realizzare gli abiti da sposa e da cerimonia di circa 200 matrimoni. Con il Coronavirus sono saltate le nozze di aprile e di maggio. Ma le spose che avevano programmato i matrimoni per giugno, luglio e agosto sono ancora nel limbo. Non sanno cosa fare. Possibile che con un settore vitale per l’economia come quello dei matrimoni, finora non sono stati fatti provvedimenti da parte del Governo?».

Molaro ricorda anche la portata dell’indotto che ruota attorno ai matrimoni: «Esistono 700 aziende italiane, tra piccole e medie, che producono bomboniere, con circa 6000 punti vendita sparsi su tutto il territorio nazionale, con un fatturato di circa 800 milioni di euro, con un’occupazione a circa 30mila persone. Mentre i fotografi fatturano, ogni anno, circa 400 milioni di euro, unicamente grazie al settore wedding». «Attorno ai fiori d’arancio, in Italia, girano decine e decine di miliardi di euro e centinaia di lavoratori. Basti pensare all’edilizia con idraulici, elettricisti, fabbri, falegnami, imbianchini, e l’intera filiera di produzione delle materie prime. E i viaggi di nozze? – chiede lo stilista – sono bloccati ma si potrebbero veicolare, in buona parte, nel nostro paese. E potremmo aiutare il settore turistico per quest’anno». «O ancora, vogliamo parlare del comparto gioielleria? – continua lo stilista – ci sono poi estetisti e parrucchieri, che fatturano in gran parte per i matrimoni. Aggiungo infine tutti coloro che si occupano di noleggio autovetture, stampa delle partecipazioni, musica per l’intrattenimento, società di animazione, e infine, ma non ultimo, il mondo della moda cerimonia, che in Italia ha svariati miliardi di fatturato. Poi ci siamo noi, produttori di abiti da sposa e cerimonia – conclude Molaro – che al Governo chiediamo solo direttive certe per coloro che sono in procinto di sposarsi e per tutti gli operatori del comparto».

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giovedì, 16 Aprile 2020 - 10:50
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