Processo Olimpo, sulla bomba al Sole 365 l’imprenditore Apuzzo fa un passo indietro e smentisce le intercettazioni

L'imprenditore stabiese Adolfo Greco
di Roberta Miele

«Non conosco nessun Attilio né tantomeno un Attilio Di Somma». L’imprenditore Michele Apuzzo, amministratore della ‘Ap commerciale’, società che gestisce la catena di supermercati ‘Sole 365’, è tornato al banco dei testimoni del Tribunale di Torre Annunziata per concludere la sua deposizione nel processo ‘Olimpo’ a carico dell’imprenditore del latte Adolfo Greco, con l’accusa di essere l’anello di congiunzione tra le vittime di estorsione e alcuni clan del circondario stabiese.

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Attilio Di Somma è accusato di avere piazzato il 22 febbraio 2015 un ordigno all’ingresso del punto vendita ‘Sole 365’ in via Carrese, mentre ‘o profeta, secondo la procura, è il mandante. A sostegno della tesi, secondo la procura, c’è la circostanza che Di Somma, all’epoca già detenuto, dal 21 al 26 febbraio era a Castellammare in permesso premio. Ma l’ipotesi accusatoria si fonda soprattutto sulla conversazione tra Adolfo Greco, il figlio Luigi e Michele Apuzzo intercettata il 29 giugno 2015. Conversazione al centro dell’esame del Tribunale avvenuto all’udienza di oggi.

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«Lei non deve ricordare, deve spiegare»: la risposta caustica della presidente del collegio giudicante, Fernanda Iannone, alle dichiarazioni dell’imprenditore che ha detto di non ricordare di avere parlato di un qualche Attilio durante il colloquio con i Greco, nonostante il giudice abbia letto in Aula l’intercettazione e il riferimento sia eloquente. Apuzzo ha sostenuto di essersi riferito solo al boss dei Cesarano, Luigi Di Martino, perché più volte «alcuni suoi emissari» gli hanno fatto sapere che il ras voleva incontrarlo a Sant’Anastasia. Incontro sempre negato da Michele Apuzzo, cosciente del fatto che ‘o profeta gli avrebbe chiesto un’estorsione. Adolfo Greco però aveva consigliato all’amico di fare l’opposto: «Vacci a parlare, togliete la guerra». Di Martino, ha raccontato il teste, «pensava di vantare un diritto rispetto ad una truffa dal valore di 30 milioni fatta da me, ma in realtà si trattava di un accordo di ristrutturazione della vecchia società, la ‘Sunrise supermercati’».

Michele Apuzzo non ricorda nemmeno a quale episodio si stava riferendo quando ha parlato del rischio di morire «nella saletta», così come non sa chi gli avrebbe fatto correre questo pericolo. Affermazioni che hanno portato la presidente Iannone a rammentare al teste di essere sotto giuramento. L’imprenditore ha raccontato che, rispetto all’attentato in via Carrese, aveva ipotizzato che tra i possibili autori potesse esserci Giuseppe Imparato, detto zi’ Peppe, della famiglia dei Pagliaroni. Imparato più volte, ha spiegato Apuzzo, si è presentato più volte al negozio nel tentativo fallimentare di cambiare sistema antincendio.
Una serie di dichiarazioni che hanno portato la difesa di Attilio Di Somma, rappresentata dall’avvocato Schettino, a definire l’ipotesi di reato a carico dell’imputato un «madornale granchio». Il legale, che sostiene l’estraneità ai fatti del suo assistito, ha chiesto la scarcerazione dello stesso o, in subordine, la rimodulazione della custodia cautelare perché le circostanze alla base dell’accusa, fondata sulla conversazione tra i tre imprenditori, è stata sconfessata. Di tutt’altro avviso il pm antimafia Giuseppe Cimmarotta che, per rafforzare la sua tesi, ha citato il tribunale del riesame che già due anni fa ha rigettato la richiesta della difesa in quanto il racconto di Apuzzo è apparso caratterizzato da omertà e reticenza.

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martedì, 16 Giugno 2020 - 18:37
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