L’eredità di Papa Francesco: 200mila euro ai giovani detenuti di Casal del Marmo, dove lavò i piedi a 12 reclusi

di Laura Nazzari

C’è un’immagine, nel cuore di chi ama la libertà e la giustizia, che non si dimentica: è il 28 marzo 2013, il primo Giovedì Santo del pontificato di Papa Francesco. Il Pontefice sceglie di non celebrare nella solennità della Cattedrale di San Giovanni in Laterano. Va invece nel carcere minorile di Casal del Marmo. Tra i giovani detenuti. E lava loro i piedi. Lo fa a dodici giovani detenuti, due dei quali sono ragazze, che rappresentano idealmente i dodici apostoli a cui Gesù lavò i piedi durante l’ultima cena. Un gesto potente, profetico. E ad accoglierlo, tra gli altri, c’è Marco Pannella, leader dei Radicali, con un cartello scritto a mano: “Viva il Papa”.

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Undici anni dopo, Papa Francesco torna idealmente in quel luogo. Non più con i piedi scalzi, ma con un gesto silenzioso e carico di misericordia: una donazione personale di 200mila euro per sostenere il pastificio del carcere minorile, una realtà che offre ai ragazzi detenuti un mestiere, una dignità, una seconda possibilità. I fondi sono stati consegnati al vescovo ausiliare di Roma, monsignor Benoni Ambarus, per tutti “don Ben”, come lo chiamava affettuosamente il Papa. È l’eredità-testamento di Papa Francesco, resa nota nella giornata di oggi, apertura della camera ardente nella basilica San Pietro a Roma.

«Gli avevo detto che abbiamo un grosso mutuo per il pastificio – racconta commosso don Ben – e che se riusciamo ad abbatterlo, possiamo abbassare il prezzo della pasta, venderne di più, e assumere altri ragazzi. Lui mi ha detto: ‘Ho finito quasi tutti i soldi, ma ho ancora qualcosa sul mio conto’. E mi ha dato 200mila euro».

Questa è la cifra umana di Papa Francesco. Il Papa delle periferie esistenziali, che già da arcivescovo a Buenos Aires celebrava tra i carcerati i riti più sacri. Che ha trasformato il Giubileo in un viaggio tra porte sante nei penitenziari, tra sguardi spezzati e mani tremanti. Come, il 26 dicembre 2024, è accaduto anche nel penitenziario di Rebibbia, dove Bergoglio prese per mano don Ben dicendo: «Vieni con me», e – prima volta nella storia – aprì la Porta Santa accanto ai detenuti.

Il ministero della Giustizia lo ha ricordato: Casal del Marmo fu la prima tappa carceraria del suo pontificato, e lì è voluto tornare anche l’anno scorso, nel 2023. Ma Francesco non si è mai fermato: Rebibbia nel 2015, Paliano nel 2017, Regina Coeli nel 2018, Velletri nel 2019, Civitavecchia nel 2022, e fino alle carceri femminili di Giudecca e di Verona nel 2024. In ogni carcere, una lavanda dei piedi, una benedizione, un abbraccio. Anche quando non poteva inginocchiarsi più, ha voluto esserci: «Quest’anno non posso farla, ma vi sono vicino», ha detto ai detenuti.

Oggi, con la sua salute vacillante e il cuore affaticato, Francesco compie forse l’ultimo grande atto d’amore verso i detenuti di Casal del Marmo. E il vescovo Ambarus lancia un messaggio struggente: «Sto lavorando perché i suoi figli prediletti possano essere ai suoi funerali. Vedremo che cosa riusciremo a fare».

Nel frattempo, da lunedì, arrivano messaggi da ogni parte: detenuti che si sentono orfani, che chiedono di mettere un fiore sulla tomba del Papa. Perché lì, in quel pastificio salvato da un mutuo e benedetto da un cuore, c’è la prova che la speranza non delude mai.

E se è vero, come disse Francesco, che «non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono», allora in quella pasta fatta dai ragazzi di Casal del Marmo c’è molto più che farina e acqua: c’è il sapore della redenzione.

mercoledì, 23 Aprile 2025 - 23:18
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