Fase 2, il silenzio di Conte sulla Giustizia: l’Anm spinge per il processo da remoto dopo l’11 maggio, avvocati sulle barricate

Tribunale

Nessuna parola sulla Giustizia, su ciò che sarà della ripresa dell’attività giudiziaria dopo l’11 maggio quando scadranno le disposizioni inserite nel decreto-legge dell’8 aprile con le quali si prorogava la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali e si prorogava il rinvio d’ufficio delle udienze ad eccezioni dei procedimenti urgenti (come le udienze di convalida del fermo, per fare un esempio).
Per l’ennesima volta il premier Conte tiene fuori dalle sue ‘comunicazioni’ agli italiani un settore che incide sulla vita della società civile ma che viene considerato, non solo dall’opinione pubblica, come un settore che riguarda ‘pochi’.

Non parla Conte, resta in silenzio il ministro della Giustizia Bonafede. Eppure ci sono delicate decisioni da adottare: la Giustizia è di fatto ferma al palo da oltre 40 giorni, con ricadute economiche pesantissime sulla categoria degli avvocati che, con la cancellazione della trattazione dei processi, ha visto di fatto prosciugata la possibilità di guadagno. Non solo: questa fase di stallo ha partorito un dibattito accesso, con annesse polemiche, sulla possibilità di estendere il processo da remoto anche alla ‘fase 2’, con la preoccupazione – soprattutto dei penalisti – che il processo da remoto possa diventare strutturale anche quando l’emergenza sanitaria sarà alle spalle, finendo così con lo smaterializzare il processo stesso.

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Ad oggi il ‘processo da remoto’ è stato utilizzato in rarissimi casi durante la quarantena, considerato che vige la sospensione dei procedimenti. Il ricorso alla trattazione mediante collegamento video ha invece avuto un peso maggiore nelle convalide dei fermi, che non si sono potute fermare. E’ stata una necessità. Una necessità che, però, rischia di prolungarsi. La magistratura spinge per il ricorso al ‘processo da remoto’ esclusivamente per la ‘fase 2’, cioè a partire dall’11 maggio quando, salvo nuove ed eventuali proroghe di sospensione dell’attività giudiziaria, si dovrebbe tornare alla normalità. Ieri la Giunta Esecutiva Centrale dell’Associazione nazionale magistrati ha messo nero su bianco la sua posizione per la ‘fase 2’: «Riteniamo che la norma approvata in sede di conversione del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 rappresenti l’unica risposta adeguata, prevedendo lo strumento del ‘processo da remoto’ per il cui impiego e adattamento alle singole realtà sono già in corso». In questo modo per l’Anm si «consentirà una parziale ma significativa ripresa delle attività nel rispetto delle norme sul distanziamento sociale e delle cautele che dovranno accompagnare le nostre vite nelle prossime settimane. Non si tratta di derogare ai principi e alle garanzie proprie del modello costituzionale di processo, bensì di utilizzare una tecnologia che, da ‘remoto’, consente alcune attività nei limiti in cui le stesse siano compatibili con tali principi e tali garanzie. Essa comporterà ulteriori oneri e difficoltà di gestione anche per i magistrati – la cui presenza negli uffici giudiziari è stata costante anche nelle settimane appena trascorse – che dovranno confrontarsi con uno strumento nuovo, spesso senza l’ausilio e il supporto tecnico da parte di personale qualificato».

Lo svolgimento di alcune attività processuali da remoto per la durata dell’emergenza sanitaria e delle conseguenti norme di distanziamento sociale, aggiungi l’Anm, «appare indispensabile perché la celebrazione dei processi presuppone non solo una compresenza nelle aule di udienza ma soprattutto inevitabili assembramenti nei luoghi di attesa e transito e un’elevata mobilità sul territorio nazionale di parti, testimoni, periti e polizia giudiziaria, costituendo, in tal modo, una rischiosissima fonte di trasmissione del contagio e un concreto pericolo per la salute della collettività». Non sono d’accordo gli avvocati, che invece spingono per una ripresa del processo in aula a patto che vengano adottate nuove regole per assicurare in aula il distanziamento sociale. Da Napoli è arrivato anche un suggerimento: adottare il metodo Coblenza, in Germania. Qui è stata assicurata una ‘postazione’ ad ogni avvocato, separata da pannelli in plexiglass e distanziata di un metro. Per fare sentire la loro voce alcuni avvocati di Napoli hanno dato il via all’organizzazione di un flash mob che si terrà la mattina del 5 maggio dinanzi al palazzo di giustizia.
Resta poi un altro punto debole del processo da remoto, che sinora non è esploso solo perché le udienze celebratesi si sono contante sulle dita di una mano: la possibilità per la stampa di seguire il corso dibattimentale di una storia. Ad oggi i giornalisti sono stati tenuti fuori dal processo da remoto, facendo così venire meno la possibilità di informare i lettori su ciò che accade nella fase più delicata di valutazione degli elementi posti a sostegno dell’accusa.

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lunedì, 27 Aprile 2020 - 12:01
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